Culiano, la gnosi come thrilling

Per raccontare questo thrilling filosofico conviene partire di lontano, dalla fine degli anni venti, quando Mircea Eliade, all’epoca giovane studente rumeno, in futuro scrittore fantastico e storico delle religioni, conosce a Firenze Giovanni Papini e due storici delle religioni, il sacerdote Ernesto Buonaiuti e il professor Vittorio Macchioro, entrambi ai ferri corti con la Chiesa e col fascismo. In Italia raccoglie la documentazione per la sua tesi di laurea sulla Filosofia italiana da Marsilio Ficino a Giordano Bruno e legge A history of indian philosophy di Surendranath Dasgupta. È la lettura di questo libro a suggerirgli una di quelle idee che decidono il corso d’una vita. Poiché la sua famiglia non può permettersi di pagargli gli studi in India, dove vuole trasferirsi dopo aver letto Dasgupta, Eliade scrive al maharaja Manindra Chandra Nandy di Kassimbazar chiedendogli una borsa di studio. Questi gliene offre una a stretto giro di posta. Poche settimane più tardi Eliade è a Calcutta e studia con Dasgupta. Impara rapidamente il sanscrito, scrive novelle, tiene un diario, studia lo yoga e la storia della filosofia indiana.

Passano 45 anni e un giovanissimo studente dell’est, Ioan P. Culianu, scrive a Eliade una bella lettera dagli abissi della Romania di Ceasescu. A Bucarest, gli dice, non potrò mai studiare, come vorrei, storia delle religioni. Eliade, il suo modello, un compatriota, non potrebbe procurargli una borsa di studio americana? È praticamente la stessa lettera che Eliade, nel 1927, aveva scritto al maharaja di Kassimbazar. Come ci sono offerte che non si possono rifiutare, ci sono favori che non si possono negare: Eliade si prende a cuore il caso. Riesce a procurare al giovane rumeno (il solo rumeno che sotto Ceausescu osi manifestare interesse per una materia antisocialista come la storia delle religioni e per un nemico del popolo come il fascistissimo Eliade) una borsa di studio italiana; il Dipartimento di Stato americano, temendo un’infiltrazione dei servizi segreti rumeni, risponde infatti picche alla richiesta di Culianu, che in Italia pubblica alcuni libri fondamentali sul dualismo, sull’identità tra religione e politica, sulla filosofia rinascimentale, e in particolare su Giordano Bruno e sulle tecniche della propaganda. Soltanto all’inizio degli anni ottanta Culiano ottiene un visto per l’America. È assistente e professore supplente d’Eliade all’Università di Chicago, dove lo storico delle religioni insegna storia del cristianesimo; alla sua morte, nel 1986, gli succede sulla cattedra. Tre anni più tardi, quando Nicolae Ceausescu e signora sono finalmente sbalzati dal trono, Culianu non s’unisce al coro dei rumeni esultanti, ma sente subito odore d’imbroglio. Soprattutto quando a Timisoara comincia la macabra saga dei cadaveri: centinaia d’oppositori assassinati e sotterrati in un campo, che la polizia politica rumena, passata agl’insorti, disseppellisce uno dopo l’altro (puro Bram Stoker) in diretta televisiva, all’ora dei telegiornali americani.

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Il primo biografo di Baffone

All’origine l’antistalinismo — da cui in ultimo germoglierà l’anticomunismo moderno, da George Orwell ai «neocon» — è una delle innumerevoli eresie leniniste.

A certificarlo è la prima, importante, e per molti versi mai superata, biografia critica del padre dei popoli, l’uomo che i discepoli più stretti chiamavano «il padrone»: lo Stalin di Boris Souvarine (Adelphi 2003). Stalin esce nel 1935, dopo molte vicissitudini editoriali: l’editore americano, che lo ha commissionato, rifiuta di pubblicarlo per non avere guai con l’ambasciata sovietica, in Francia Gallimard prima lo accetta e poi ci ripensa su consiglio di André Malraux (che all’epoca è un “compagno di strada” del corifeo della scienza, non ancora di De Gaulle). Opera d’un ex segretario dell’Internazionale comunista, il trotzkista Boris Kostantinovic Lifsic, in arte Boris Souvarine, Stalin è un libro interno al campo rivoluzionario, un libro marxista, volendo anche un po’ ingenuo. Stalin vi figura nella parte d’un restauratore del capitalismo e d’un traditore del proletariato socialista. Sono esattamente le stesse accuse che il segretario generale sta lanciando contro i suoi nemici sotto processo a Mosca. Ma Stalin è anche il primo libro in assoluto che renda conto della tragedia sovietica senza annacquarne gli orrori. Per questo è un libro originario, dal quale sono infine rampollati tutti gli altri, su su fino ad Arcipelago Gulag.

Sono i trotzkisti per primi, già all’inizio degli anni venti, a scendere in campo contro Iosif Vissarionovic Dugasvili detto Stalin e i suoi soci d’affari nell’ufficio politico bolscevico, i vari Bucharin e Kamenev e Zinoviev, che all’inizio appoggiano Baffone, convinti che la torta del potere sarà divisa in parti eguali, ma che si ricrederanno in fretta e che alla fine dovranno raggiungere i trotzkisti all’opposizione. Come Trotzky, di cui volevano la rovina, anche loro sono destinati a morire male, liquidati da Stalin e dal suo apparato cannibale di cekisti e di magistrati senza vergogna. All’inizio, del resto, prima di trasformarsi in una guerra per la rigenerazione di tutte le Russie attraverso il genocidio e la distruzione sistematica d’interi popoli e classi, quella di Stalin è soltanto una lotta per il potere tra eredi di Lenin, una sanguinosa ma tradizionale guerra per bande. È per questo che i suoi primi nemici e rivali sono tutti i marxisti e leninisti doc suoi avversari politici al vertice della nomenklatura. Gli vogliono soffiare il controllo della Cupola rivoluzionaria e Stalin non ci sta. Di qui le campagne di rettifica, poi le persecuzioni e le purghe, infine i plotoni d’esecuzione. Di qui anche le prime denunce pubbliche del regime stalinista di terrore, le scissioni dei partiti comunisti extrasovietici, i gruppuscoli militanti del comunismo di sinistra votati all’antistalinismo puro e duro, a cominciare dalla Quarta Internazionale trotzkista. Di qui anche la lenta ma inarrestabile deriva del comunismo di sinistra verso l’anticomunismo.

Nato a Kiev nel 1895, Souvarin visse sempre a Parigi, dove suo padre era emigrato all’inizio del secolo. Tra i fondatori del partito comunista francese, amico dei principali capi bolscevichi che avevano trascorso anni d’esilio in Europa, a metà degli anni venti trascorse qualche tempo a Mosca, dove occupò un importante posto a tavola alla mensa della nomenklatura comunista. In URSS vide le streghe dell’oppressione e del delirio classista, un trauma che lo segnò per sempre. Militò per qualche tempo nei gruppuscoli del comunismo di sinistra, insieme ad altri transfughi della rivoluzione internazionale, poi si dedicò molto più assennatamente allo studio della rivoluzione bolscevica e delle sue derive apocalittiche. Studiò Stalin e la sua epopea dall’interno. Entrò nei pensieri dell’autocrate come un telepate da romanzo di fantascienza. Anche se continuò a difendere, fino all’ultimo, la versione leninista del marxismo e la memoria del padre fondatore, fu proprio la sua conoscenza del leninismo a permettergli di capire Stalin e la società dantesca, irredimibile, che gli cresceva intorno. Morì nel 1984.

Sembra che in Russia, alla fine degli anni trenta, circolasse una copia tradotta del suo libro. Era proprietà personale di Stalin. Del traduttore si dice che fu liquidato con un colpo alla nuca nei sotterranei della Lubianka.