Recensione a “La panchina senza angeli”

Bastano i primi quattro versi di Insalata Materna, la prima poesia del nuovo libro di Filippo Parodi, La panchina senza angeli, per essere travolti in un turbine di parole, pensieri, domande «Mi desti alla luce,/ anzi no,/ tu mi gettasti nella/ tenebra». Il tondo e il corsivo del testo non sono secondari, anzi. Tutta la poesia, infatti, è alternata da versi in tondo che affermano e testi in corsivo che smentiscono in alcuni casi con rabbia ciò che è stato affermato in precedenza.

Non solo nella parola ma anche nella grafica di questo immaginario dialogo con la madre che diventa un auto-interrogarsi, quindi, emerge lo stato d’angoscia esistenziale dell’autore, laureato in filosofia e alla sua seconda opera poetica. Non è secondaria nella poesia di Parodi la sua cultura filosofica che emerge già nei primi versi citati e, in particolare in quel ‘gettasti’ che ricorda l’essere gettati nel mondo di Martin Heidegger in Essere e Tempo. Il concetto d’essere gettato nel mondo è ribadito con versi violenti «… tu mi hai posato sopra/ l’erba di un/ leggero/ giardino e/ mi hai insegnato a /parlare e a/ riconoscere…/ Piuttosto tu mi hai/ ripetutamene,/ balsamente/ assassinato». Nei versi di Parodi c’è oltre al pensiero anche una ricerca della parola che in alcuni casi viene usata in modo dissacrante come nella chiusura di Insalata Materna «Chiudi/ quella/ stronza/ bocca».

La panchina senza angeli - Copertina
La panchina senza angeli – Copertina

E la bocca è la ‘protagonista’ del pometto Le bocche di Hans, un lungo racconto in cui Hans «Cercava di spiegarmi quanto/ fosse faticoso e / difficile per/ lui/ provvedere a sfamarle». Le bocche vogliono essere nutrite, ma quella dell’amore «non si sentiva mai/ sazia e/ appagata…», quella della concupiscenza «sapeva camuffare». Hans parlava anche della bocca della tristezza e della solitudine «… avida,/ accanita,/ velenosa, mal/ disposta a rapportarsi/ con le altre bocche./ Si tuffava nella mischia e/ beccava/ impazzita,/ spolverava anche gli/ scarti,/ non aveva alcun pudore!». E poi di quelle della rabbia, dello sgomento, della consapevolezza, della fede, del mistero, dell’attacco di panico. Hans, nel pometto, racconta tutto ciò mentre il poeta fuma una Camel. Anche in questi versi Filippo Parodi, proprio come in Insalata Materna, percorre i misteriosi sentieri dell’inconscio per tentare di arrivare all’origine dell’angoscia. Lo fa attraverso immagini, spesso terrificanti, che non concedono nulla e che costringono anche il lettore a percorrere quella strada difficile dove ci si può anche perdere.

Pointless ribadisce con immagini oniriche il male di vivere, l’inadeguatezza, l’essere inutile: «Abito/ un/ gradino/ che/ si/ è/ scolato/ il sole/ l’assurdo/ organismo…» e poi: «Io/ alloggio/ nell’infanzia/ tanto/stretta/ e/ imputridita/ nell’orgasmo/ nell’accesso/ dentro/ al bar che si accartoccia…» e ancora: «io/ abito/ il mio/ abito/ e/ è/ una gran/ fatica/ con la/ porta/ che/ ogni/ giorno/ si chiude…».

C’è poi Diverso, un testo intenso come gli altri ma al quale il poeta è riuscito a dare un ritmo che ricorda le ballate dei menestrelli: «Buongiorno a te,/ Diverso:/ Ti guardi nello specchio./ Già alle prime luci/ ricerchi il tuo riflesso…». Tutto è diverso quando non si riesce a stabilire un rapporto con gli altri, anche i gesti quotidiani, apparentemente banali come quello di bere un caffè: «La mattinata muore./ Già quasi ora di pranzo./ Dov’è che mangerai?/ Ah è vero, salti i pasti./ Ok, prendi l’ennesimo/ caffè esistenziale./ Ci pensi tu a macchiarlo/ con la Diversità».

Filippo Parodi è giovane e nelle sue poesie utilizza spesso espressioni che appartengono alla sua età, al suo mondo. Una scelta forse neppure consapevole ma che rende la sua poesia onesta come la intendeva Umberto Saba secondo il quale l’onestà poetica consiste nella ricerca delle verità interiori mentre le apparenze e i manierismi devono essere banditi perché il linguaggio deve essere chiaro e collocarsi nella cornice della vita reale.

Ottobre 2017