Ben-Hur, un’avventura italiana

PRELUDIO

Riecheggiano nel web le urla feroci di chi non ha visto neanche il film con Charlton Heston, ma ha già piantato unghie e denti sul nuovo Ben-Hur, dilaniandolo in mille pezzi ancor prima che sia stato proiettato nelle sale. Questo remake non s’aveva da fare, non si può distruggere così la memoria del suo illustre precedente girato in Italia negli anni ’50, uscito ai tempi del glorioso Technicolor e dell’eccezionale e costosissimo Ultra Panavision. Quello che però sfugge ai fanboys – nell’Era di Facebook e del sempiterno revival del 3D – è che la celeberrima versione del 1959 era già un remake di un remake.

Prima della dentatura da squalo di Charlton Heston vi è stata la grazia messicana del Ramon Novarro (uno dei primissimi attori a fare coming out in un’epoca in cui questo significava la certezza quasi matematica di perdere ogni privilegio a Hollywood) nel Ben-Hur del 1925, quello veramente avanguardistico e straordinario, che a sua volta era un remake gonfiato e ampliato della versione del 1907 con William S. Hart, il quale sarebbe diventato negli anni ’10 icona western del periodo muto americano. Quest’ultima piccola produzione era uno sperimentale adattamento cinematografico della trionfale trasposizione teatrale del romanzo del Generale Lew Wallace.

Ben-Hur (1959)
Ben-Hur (1959)

Una parentesi che più di Ben-Hur meriterebbe un film: Wallace è stato il Governatore del New Mexico che nel 1879 spinse Billy the Kid a fare da informatore indicando i colpevoli dell’omicidio Chapman in cambio del “perdono per ogni crimine commesso”; il pistolero testimoniò, ma il procuratore distrettuale locale si rifiutò di onorare la promessa fatta da Wallace. Billy the Kid allora fuggì dal carcere, il resto è leggenda.

Quarant’anni dopo la morte del Kid, nel 1925, il romanzo di Wallace approdò per la seconda volta a Hollywood, e per la prima volta in Italia.

 

VIAGGIO IN ITALIA

Dopo dispute tra le major hollywoodiane, i diritti per la realizzazione sul grande schermo di Ben-Hur vengono acquisiti dalla MGM, che nel 1922 decide di fare il più grande film di tutti i tempi. L’Italia viene scelta come terra di conquista, soprattutto per approfittare dei bassissimi costi locali del lavoro.

Hollywood, che mette in scena le avventure dell’eroe carismatico, non poteva non apprezzare Benito Mussolini, leader carismatico weberiano ed equivalente politico di Douglas Fairbanks. Pugno di ferro e randellate come nei film di cappa e spada e un faccione indimenticabile. Mussolini è in prima linea per offrire agli americani tutto l’aiuto di cui hanno bisogno per la realizzazione di Ben-Hur, salvo poi salire sul cavallo matto quando scopre quanto siano pagate le maestranze hollywoodiane rispetto ai salari erogati da questi alla manovalanza italiana. Vecchio socialista, il Duce si offende a tal punto da orchestrare una serie di contro-movimenti popolari e cavalcare (dopo averlo lui stesso creato) un malumore, tra i carpentieri assunti per la costruzione degli immensi set, che si concretizza in una serie di scioperi che aumentano ancor di più i ritardi sulla tabella di marcia del film. Quando però alcuni operai, che stanno lavorando a Ben-Hur, scioperano per rendere omaggio alla salma di Giacomo Matteotti, assassinato nel giugno del 1924, Mussolini manda un gruppo di camicie nere in modalità spedizione punitiva a spaccar  loro le ossa.

I produttori di Ben-Hur vogliono costruire una copia del Circo Massimo e della Porta di Giaffa poco fuori da Porta San Giovanni a Roma. Vengono assunti in centinaia per completare questi lavori in sette settimane, ma dopo sette mesi le monumentali opere di gesso e cartapesta sono ancora lontane dall’essere completate. Il motivo di questo rallentamento costante è dovuto, come si è già detto, a scioperi. Mussolini prende alla lettera il suo celeberrimo motto “La cinematografia è l’arma più forte” e la ribalta a suo favore, conficcando nel costato della MGM una lama per provocare una lenta emorragia in termini economici. Sostanzialmente, più tempo i lavoratori ci mettono a finire quei set, più a lungo possono lavorare. Così facendo, il Duce si prende gioco dei produttori hollywoodiani, obbligandoli a stare a questo gioco per quasi un anno. Dividendo in “squadre” i carpentieri è possibile far scioperare una settimana l’una, una settimana un’altra e così via. I problemi di disoccupazione si risolvono così anche ai tempi dell’Italia Fascista.

Ben-Hur (2016)
Ben-Hur (2016)

Nel frattempo Charles Brabin, che è ancora (per poco) al timone di Ben-Hur, prova a girare la scena della battaglia navale, ma si rende presto conto che gli  scioperi imperversano anche ad Anzio, nei cantieri navali. Dopo qualche settimana, che il cast tecnico trascorre sulle spiagge in attesa di procedere con le riprese, le imbarcazioni sono finalmente pronte e si può partire, ma sorgono tre problemi: due aggirabili e uno insormontabile. Le navi completate in ogni dettaglio, da prua a poppa sono solo tre e, per dare l’illusione di una flotta, le rimanenti vengono solo abbozzate di profilo e montate su delle zattere. Da lontano nessuno se ne può accorgere. L’altro problema sono le barchette dei pescatori, che incuriositi da tutto quel movimento, continuano ad avvicinarsi, rovinando una ripresa dopo l’altra. Ci sono dei motoscafi della produzione che con costanza intervengono a cacciarli via, ma è come tappare una falla con un dito perché i pescatori continuano a comparire da ogni lato. E questo è nulla in confronto alla mazzata che arriva quando le autorità portuali stabiliscono che le navi del film non sono né sicure né atte alla navigazione. Allora vengono rispedite nei porti d’origine per essere rese a norma, ma ciò non basta perché a quel punto viene concesso loro d’essere utilizzate solo se ancorate. Passino i pescatori che sbucano nell’inquadratura, ma è impossibile filmare una battaglia con delle navi perfettamente immobili. Bisogna ripartire da capo. Altro tempo, altri soldi, altri lidi. Ci si sposta a Livorno.

 

IN FONDO AL MAR

All’interno dell’epica attorno alla lavorazione di Ben-Hur, c’è un episodio che più di tutti assume toni horror. Per le riprese della battaglia navale, girata sulla costa livornese (dopo mesi sprecati sulla costa di Anzio e la sostituzione alla regia di Brabin, rimpiazzato da Fred Niblo), sono necessarie svariate centinaia di comparse e moltissimi italiani si presentano il giorno del “casting” che consiste in una semplice domanda: “Sai nuotare?” e se la risposta è positiva viene fornito loro un abito romano o da pirata, uno spadone e vengono spediti sulle navi. Le indicazioni del regista sono ancora più semplici “Datevele di santa ragione!”, orchestrando rozzamente una delle sequenze più iconiche del film, preludio di una tragedia reale che da lì a poco non si sarebbe soltanto sfiorata. Occorre però fare un passo indietro, alla chiamata sul set di quella gioventù italiana.

Il tasso di disoccupazione è talmente alto che migliaia di giovani si presentano per partecipare al film, molti dei quali mentono sul fatto di sapere veramente nuotare. Inoltre, il clima politico che si respira tra i figuranti è pesante, tra fascisti e anti-fascisti pronti a scannarsi a vicenda ad ogni istante. Un giorno Niblo, ispezionando una delle navi, trova una pila di vere spade nascoste sotto delle vele e scopre ben presto che le persone preposte al casting hanno diviso le comparse in fascisti (i romani) e anti-fascisti (i pirati). Se Niblo non se ne fosse accorto, nella baraonda qualcuno ci avrebbe rimesso la pelle sul serio. Terribile presagio.

Nel tumulto indicibile di quella battaglia navale, (e lo si nota quando si guarda il film) un incendio necessario per il film, spinto da un vento non preventivato, si propaga a tutta la trireme romana provocando il panico tra le comparse che o si buttano in mare o s’inginocchiano a pregare i santi delle loro terre. Francis X. Bushman, uno degli attori di punta del film e personaggio chiave dell’intera “Spedizione Ben-Hur” in Italia, dice al regista d’interrompere le riprese perché ci sono persone in acqua che stanno affogando. Niblo, con il fiatone della dirigenza della MGM che ha già perso milioni di dollari per un film ancora in alto mare, risponde che ognuna di quelle barche costa un’enormità e che per nessun motivo girerà ancora una volta quella scena.

La verità su quel che succede quel giorno non viene mai a galla: stando agli uffici del casting, a fine serata solo tre comparse non sono presenti all’appello, ma si fanno vive all’indomani dopo essere state recuperate da un peschereccio livornese, ancora vestite da centurioni romani, a reclamare il compenso e i loro vestiti civili. Circola però anche un’altra storia: uno degli assistenti alla regia sarebbe stato mandato di nascosto sopra una barca a remi, sul far della sera, a legare con catene e pesi gli eventuali vestiti e cadaveri galleggianti dove poche ore prima era stata girata la battaglia navale in modo tale da farli sparire definitivamente, facendoli così affondare e diventare tutt’uno col pavimento marino o cibo per pesci. Se così è stato, l’MGM è riuscita a occultare tutto, complice anche il fatto di essere in una terra straniera.

Torniamo un attimo a Francis X. Bushman, che da co-protagonista diventa investigatore di quello che succede dentro e fuori dal set. La sua importanza prima, durante e dopo le riprese del film è fondamentale per ricostruire il caos della realizzazione di Ben-Hur. A differenza di quasi tutte le altre personalità legate al film, i ricordi di Bushman sono i più crudi, cupi e truculenti e fanno emergere un’altra facciata dell’industria cinematografica dell’epoca.

Aggirandosi nei camerini, un paio di giorni dopo le riprese, Bushman chiede se tutto si sia risolto per il meglio, insomma se dopo la battaglia navale tutti son tornati a reclamare i loro abiti e a riconsegnare quelli usati per il film. L’addetto al guardaroba delle comparse è solenne nella sua risposta: “Ah, mancano molti costumi …”.

 

EPILOGO: MUSSOLINI S’ARRABBIA

Ben-Hur lo conosciamo tutti, una storia di vendetta e perdono, rivincita e sentimento, su cui aleggia la figura di Gesù Cristo che, come un fantasmino, compare e scompare senza mai farsi vedere in volto. Quando Mussolini finalmente vede il film va su tutte le furie, inizia a sbraitare e assieme a lui iniziano ad abbaiare anche i fedelissimi che gli stanno attorno. “È una vergogna! Gli americani c’hanno gabbati!”. Il Duce si è immaginato tutt’altro, si è girato un film nella testa che non corrisponde a quello su pellicola. Lui era convinto che il romano Messala (interpretato da Francis X. Bushman, la nostra guida per questa storia) avrebbe vinto la corsa e sarebbe stato l’eroe. Quando vede che non solo Messala muore miseramente schiacciato sotto il peso dei cavalli e delle bighe, ma che l’eroe e vero protagonista del film è Ben-Hur, un ebreo a cui capita pure di diventare schiavo, Mussolini impazzisce e censura il film. Forse gli bastava soffermarsi sul titolo del film o leggere una sinossi per capire di cosa si trattava. Ad ogni modo, nessun italiano deve vedere un tale scempio, è un’onta che va lavata col sangue. Manganelli agitati in aria e tanto rumore per nulla.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *