Le pene del padre (Die Sorge des Hausvaters) (1916-17)

Alcuni dicono che la parola “Odradek” (il Dissuasore, dal serbo odraditi, dissuadere) derivi dallo slavo e tentano di conseguenza di indagarne la formazione (die Bildung). Altri, all’opposto, reputano che il termine derivi dal tedesco e sia soltanto influenzata dallo slavo. L’incertezza delle due interpretazioni, tuttavia, permette a ragione di concludere che nessuna corrisponde al vero (zutrifft), tanto è vero che nessuna di esse permette di trovare un senso nella parola.

Kafka, disegni, in «Obliques», n. 3, Edition Borderie, Paris 1973
Kafka, disegni, in «Obliques», n. 3, Edition Borderie, Paris 1973

Naturalmente nessuno si indaffarerebbe su questi studî, se non ci fosse davvero un essere che si chiama Odradek. Ad un primo sguardo sembra una spoletta piatta a forma di stella e difatti appare anche rivestito di filo; è tuttavia probabile che siano soltanto frammenti strappati, vecchi, annodati, ma anche ingarbugliati di diverso tipo e colore. Non è soltanto una spoletta, in quanto dal centro della stella si diparte una piccola stanghetta trasversale (ein kleines Querstbächen), alla quale se ne aggiune un’altra ad angolo retto. Con l’aiuto di quest’ultima stanghetta da un lato e di uno dei raggi della stella dall’altro, il tutto riesce a reggersi in piedi, come su due gambe.

Si sarebbe tentati di credere che quest’oggetto un tempo abbia avuto una forma adatta a qualche scopo (zweckmäßige Form) ed ora sia soltanto rotto. Ma questo non sembra il caso; o per lo meno non c’è alcun indizio di ciò; da nessuna parte si vedono aggiunte o rotture che diano adito a una siffata ipotesi; il tutto appare privo di senso, ma a suo modo in sé compiuto (in seiner Art abgeschlossen). Del resto non c’è alcunché da aggiungere, poiché Odradek è agile fuori dall’ordinario e non si lascia afferrare.

Si intrattiene di volta in volta nei solai, per le scale, nei corridoi, nell’atrio. A volte non si fa vedere per mesi; magari si è spostato in altre case; ma torna poi infallibilmente a casa nostra. A volte, quando uno esce dalla porta e lo vede appoggiato proprio alla ringhiera della scala, vien voglia di interrogarlo. È ovvio che non gli si possono porre domande difficili: lo si tratta piuttosto, e già la sua mole minuscola ci induce a ciò, come un bambino. “Come ti chiami?” gli vien chiesto. “Odradek”, dice. “E dove stai?” (Und wo wonst du?) “Domicilio imprecisato” (si avverta in Unbestimmter Wohnsitz la tonalità giuridica). E qui la conversazione, di solito si conclude. Del resto tali risposte non sempre si ottengono; spesso se ne sta a lungo in silenzio, come il legno di cui sembra fatto.

Invano mi chiedo cosa ne sarà di lui. Può morire? Tutto ciò che muore ha avuto un tempo una sorta di scopo, una sorta di attività nella quale si è consunto (daran hat es sich zerrieben); ma non è il caso di Odradek. Potrebbe dunque darsi anche che un giorno rotolasse giù per le scale, trascinandosi dietro un filo, tra i piedi dei miei figli e dei figli dei miei figli (vor der Füßen meiner Kinder und Kindeskinder; è il tema delletre generazioni”, che – secondo la mia tesi – percorre l’opera di Kafka)?

Certo, non fa del male a nessuno; ma l’ipotesi che egli possa anche sopravvivermi quasi mi addolora.

Un commento su “Le pene del padre (Die Sorge des Hausvaters) (1916-17)”

  1. “Odradek è uno strano personaggio davvero, sembra così fragile, così inaferrabile nella sua corporea inesistenza da lasciarci incerti, dispiaciuti quasi di non poterlo aiutare a vivere, perché è difficile pensare che riesca a vivere e non si sa neanche se è un ‘essere vivente’ simile a noi, oppure se sia un piccolo sconosciuto essere vivente che fa parte della nostra casa senza che noi ne siamo a conoscenza, che non si allontana mai, che non si fa notare, ma c’è e non se ne va e con la sua enigmatica presenza ci inquieta, ci interroga senza darci risposte. ‘Potrebbe anche rotolare giù per le scale, trascinandosi dietro un filo’, quale filo? Ecco cosa ci mette un dubbio in questo racconto di Kafka che Cheloni qui ci propone attraverso la sua personale traduzione. Forse il filo che lega indissolubilmente le tre generazioni: i nonni, i genitori, i figli? (‘trascinandosi dietro un filo, tra i piedi dei miei figli e dei figli dei miei figli’). ‘Può morire?’, Non può morire perché tutto ciò che muore e ‘non è il caso di Odradek’ ha avuto un tempo una sorta di scopo, una sorta di attività nella quale si è consunto’. Il mandato, l’ordine’ imposto dal ‘segreto’ di famiglia, rimane inconscio, inalterato nel trascorrere delle 3 generazioni: senza ‘tempo’ senza possibile trasformazione, si trasmette non tra le generazioni, ma ‘oltre’ le generazioni. Intreccia e lega, ma senza lasciare che l’una generazione si differenzi dall’altra. Sembra proprio che Kafka (e la letterale traduzione di Cheloni ne rende ragione) abbia intuito senz’ombra di dubbio, forse proprio per la sua identità di scrittore-ebreo, che ciò a cui non si può sfuggire è l’ ‘ordine’ delle generazioni. ‘Ordine’ imposto per il quale la posizione ai nipoti viene assegnata dai ‘nonni’ perché prendano il loro posto eludendo che il tempo scorra (una sorta di ‘ordine-comando’ al tempo stesso); ‘ordine’ in quanto mancato riconoscimento della seconda generazione: i genitori ‘assenti’, non nella ‘concreta’ loro presenza presso i ‘figli’, ma ‘assenti’ in quanto figli nell’inconscio dei loro stessi genitori. LA TEORIA TRANSGENERAZIONALE pare proprio affacciarsi in Odradek e Kafka ci dice che, un giorno, forse potrebbe anche rotolare giù per le scale e trascinarsi il filo tra i piedi dei ‘miei’ figli e dei figli dei ‘miei’ figli; allora infine forse si potrebbe comprendere da dove viene e cosa ‘fa’ sempre lì e come mai si è stabilito in casa ‘mia’ questo strano piccolo inesorabile essere che ci inquieta con la sua presenza sempre uguale. E’ forse ‘un ordine’ dato, un ‘comando’ al quale non si può disubbidire pena l’abbandono e la morte

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *