L’inquirente dimezzato (Joan Petru Culiano)

Il 21 agosto 1989, su invito degli organizzatori del Meeting di Comunione e Liberazione che si tiene ogni anno a Rimini, Joan Petru Culianu partecipò assieme a Roberto Barbolini e al moderatore Pier Alberto Bertazzi a una tavola rotonda sul tema “L’inquirente nella letteratura, cioè il protagonista dell’indagine”. Dall’archivio di Riminimeeting (www.meetingrimini.org) riprendiamo la la trascrizione del suo intervento, con qualche taglio e il titolo redazionale L’inquirente dimezzato. Per la figura e l’opera di Culianu, ucciso all’Università di Chicago in circostanze misteriose (probabilmente legate alla politica rumena del dopo-Ceausescu) ad appena quarantuno anni, si rimanda al mirabolante saggio di Diego Gabutti Culianu, la gnosi come thriller che TheLivingStone è lieto di pubblicare.

L’INQUIRENTE DIMEZZATO

Sulla narrativa fantastica di Mircea Eliade

di Joan Petru Culianu

C’è una questione posta a tema anche in altri incontri di questo Meeting, come “Uomo animale paradossale e curioso”. Un’opinione diffusa tra i socio-biologi, è che quel che costituisce l’unicità della specie umana siano due tendenze in stretto rapporto tra di loro: la neofilia e la neotenia, due parole che appartengono al gergo dei biologi. Neofilia viene dal greco neos-nuovo e filia-amore, quindi amore del nuovo, curiosità, se si vuole; e neotenia dalla parola neotes, in greco infante. L’essere umano è tale perché è inquirente, perché è curioso del nuovo e della scoperta, ed è così perché è incline a restare giovane. Tra l’altro, i socio-biologi non esitano a mettere in relazione neotenia, cioè infantilismo, e perdita del pelo, allo scopo di continuare ad avere la pelle liscia come i bambini. E, se i maschi si radono la barba, è per conservare gli attributi degli infanti. Quindi l’essere inquirente va di pari passo con l’essere umano, e l’essere giovane, al punto che si può dire che è l’inchiesta a creare l’uomo e non l’uomo a creare l’inchiesta. La storia umana stessa appare come una lotta tra neofilia e neofobia, tra inchiesta al fine di scoprire e inquisizione al fine di arrestare la scoperta; tra indagine, esperimento nel campo del sapere e inchiesta poliziesca, per scoprire i desiderosi di cambiamento e mettere fine alla loro opera. Non mi stupirei se qualcuno vedesse in questa contrapposizione tra ricercatore e inquisitore anche una contrapposizione di sistemi politici. In questo Meeting si parlerà della Cina e della Romania, come rappresentanti di sistemi politici neofobi. Ma quel che c’è da ritenere da tutto ciò è che, quantunque di indagine si tratti in ambedue i casi, e quindi di soddisfazione dell’istinto neofilico umano, in un caso abbiamo a che fare con un’indagine per affermare la propria libertà, e nell’altro con un’inquisizione che mira ad arginare o sopprimere l’affermazione della libertà. In questo secondo caso, pur conservando l’aspetto dell’indagine, l’inchiesta è rivolta contro le sue stesse premesse neofiliche e finisce nella sclerosi totalitaria. Un teologo, chissà, potrebbe definire questa situazione inquisitoriale come male, o come demonismo (…).

Joan Petru Culianu e Mircea Eliade

Eliade è un esemplare umano altamente neofilo e neotenico, e offre un modello ai suoi coetanei rivoltosi contro ciò che a loro appare come sclerosi socio-politica causata da una classe dominante fatta di ciò che loro definiscono come rimbambiti, epiteto poi fuorviante, che in realtà non significa un ritorno alla rinfrescante neofilia dell’infanzia. Rimbambito, c’è la parola bambino là dentro, significa appunto la perdita di tale facoltà. Nell’opera letteraria giovanile di Eliade, l’adolescente romeno si riconosceva e riconosceva in essa quello che ha di meglio e di peggio. Eliade e lo psicanalista Carl Gustav Jung sono spesso stati accomunati per quanto riguarda certe loro idee circa gli strati archeologici della psiche umana. Però c’è anche un’altra cosa che li accomuna, quel che Jung definisce come ombra, cioè quella parte rimossa di noi stessi dove conserviamo ancora le qualità ed i difetti dell’infanzia. Si può dire che l’opera giovanile di Eliade riveli all’adolescente non tanto la sua ombra, che egli conosce poi fin troppo bene, ma la funzione positiva dell’ombra, che è quella di essere inquisitiva, e perciò anche rivoltosa. Questa identificazione del lettore giovanile col personaggio giovanile eliadiano cessa con l’opera letteraria degli anni della maturità di Eliade, ancora tutta da scoprire, soprattutto resa accessibile quasi nella sua totalità dalla “Jaca Book” al pubblico italiano e occidentale. Il caso di Eliade è interessante e complesso perché egli è un doppio indagatore; ha da una parte un’opera monumentale di storico, e dall’altra un’opera imponente di scrittore, cioè è ricercatore del mito anche creatore di miti. Ora, si sa che quando uno sente il bisogno di creare i miti, questi miti rappresentano la parte più importante del suo discorso, il discorso segreto che non si può ancora lanciare sul mercato rigido e ossificato delle idee. Ogni volta, per esempio, che Platone vuole dire qualcosa di fondamentale e di più vero che non la mera dialettica così sofistica di Socrate, egli è ricorso al mito. Così anche i limiti assoluti del pensiero di Eliade li troviamo non nell’opera dello storico, e neanche in quella, sebbene più sciolta, del saggista, ma in quella dello scrittore. Quest’ultima, del resto, altro non è che una fenomenologia dell’inquirente dell’indagine, una fenomenologia con un grande numero di attori. Io ho scelto quei sei personaggi che mi sembrano illustrare meglio la tipologia eliadiana dell’inquirente (…): si tratta di sei generi di inquirenti differenti tra loro quanto al grado di conoscenza, al metodo, all’oggetto, alla finalità del sapere. La gamma delle situazioni in cui questi indagatori sono coinvolti all’interno degli intrecci delle varie opere di Eliade, rappresenta il mondo letterario di Eliade nella sua quasi totalità. E questo mondo letterario non è che una variante del mondo in generale, e la visione eliadiana del mondo ci aiuta a svolgere un’indagine complessa, sia sull’autore dei sei personaggi che sul mondo da essi percorso. Due osservazioni di carattere più generale vanno premesse a questa indagine: la prima è che questi personaggi non si manifestano tutti insieme, ma in sequenza direi cronologica, perciò alcuni di essi si escludono a vicenda. La seconda osservazione è che alcuni personaggi vengono fuori a coppie, dove c’è un termine forte ed un termine debole, nel senso che il debole non potrebbe esistere senza il forte (…). Per esempio, l’idiota è il termine forte sia nel binomio litomante-idiota, che in quello idiota-poliziotto. L’attore drammatico sembra una variante debole dell’idiota, e funziona ugualmente a binomio col poliziotto, la cui presenza diventa imprescindibile per lo svolgimento dell’azione intenzionale dell’altro (…). Come vedremo, sebbene lo sceneggiato dell’indagine svolta dai personaggi eliadiani conosca soltanto minime variazioni, la prospettiva finale risulta notevolmente mutata rispetto a quella iniziale, al punto che il mondo dell’ultimo Eliade è l’opposto di quello del primo Eliade. Durante questo processo, la categoria che abbiamo chiamato mondo subisce una crescente solidificazione, al punto che, da completamente fluida, diventa rigida e circoscritta: nessuno, sembra dire l’ultimo Eliade, nemmeno Dio stesso, è libero di cambiare le norme fisse del mondo. Ma all’inizio le cose non stanno così, lo yogi ha svolto un’indagine secondo metodi segreti e trasmessi per tradizione, al fine di guadagnare poteri straordinari. Oggetto e finalità dello yogi è la propria libertà dai limiti della condizione umana. Lui crede soltanto in ciò che ha acquisito e le sue possibilità dipendono dal grado di realizzazione che ha raggiunto. Le più note, se non forse le migliori novelle fantastiche di Eliade, appartengono a questo periodo o a questo ciclo a cui, in altre sedi, abbiamo dato il nome di ciclo indiano per distinguerlo dagli altri due cicli successivi, il ciclo dell’idiota e il ciclo della crittografia. All’universo di queste novelle fanno riscontro le concezioni dei poteri paranormali espresse da Eliade in un saggio del 1937, Il folclore come strumento di conoscenza. In questo saggio, Eliade accetta pienamente la possibilità dei fenomeni paranormali di cui parlano molte religioni del mondo, come la levitazione, la morte apparente, l’incombustibilità del corpo umano, ecc. Invece il secondo ciclo della novellistica eliadiana, di cui fanno parte anche i romanzi Foresta proibita, Il vecchio e il funzionario, uscito presso la “Jaca Book”, è il ciclo dell’idiota, completamente differente rispetto al primo. Il suo protagonista è l’idiota, il povero di spirito. Magari un aggancio con Padre Brown si potrebbe fare, ma non va poi molto lontano. Il personaggio è un sempliciotto alle prese con realtà molto più possenti di quelle che lui può comprendere. In questo ciclo, lo yogi non compare più e il suo unico sostituto è il litomante, cioè l’indovino, il cui metodo di conoscenza si potrebbe chiamare sincronicità. Dalla configurazione delle pietre nello spazio egli riesce a prevedere degli avvenimenti che stanno per succedere. E’ ovvio che il litomante, al contrario dello yogi, non possiede una conoscenza solida e non si affida ad un metodo razionale; l’oggetto del suo sapere è soltanto l’avvenire e la finalità di questo sapere è poco chiara. Il litomante ha un carisma di cui non possiede la chiave. Quanto all’idiota, che è forse il personaggio più tipico, emblematico, di questo periodo nella narrativa di Eliade tra gli anni ’50 e ’60, è il completo rovesciamento dello yogi. L’idiota non ha nessuna conoscenza, anzi, si può dire che abbia una conoscenza negativa, non impiega nessun metodo per conoscere, non desidera conoscere nulla e dunque è colpito duramente da ciò che a lui si rivela senza che l’abbia richiesto. L’idiota eliadiano conosce gradi e forme che vanno da un personaggio vicino al cristiano idiota triumphans del cardinale Nicolò Cusano, fino al vecchio che si smarrisce per molti anni nel bordello detto delle zingare dove gli sembra di aver trascorso un solo pomeriggio. Tragico, comico, grande o piccolo, intellettuale o sempliciotto, l’idiota è senz’altro il personaggio prediletto di Eliade negli anni ’50 e ’60 (…). Qui, si può dire che Eliade si metta ad esplorare un nuovo territorio dal quale non uscirà più fino alle sue ultime novelle. La dialettica di questo ultimo ciclo eliadiano, a cui abbiamo dato il nome del ciclo della crittografia e della decifrazione, è molto bizzarra: l’idiota o l’attore drammatico che ne è una variante, o anche qualche altra variante del personaggio dell’idiota, messo a fuoco dal poliziotto, cioè dall’investigatore del genere Sherlock Holmes, e l’idiota costruisce appunto per il poliziotto uno spettacolo senza nessun senso. Ovviamente il poliziotto, in cui esiste questo meccanismo d’indagine, si mette pazientemente a decifrare il messaggio. Qui dunque ognuno fa quel che sa fare, l’idiota fantastica senza saper nulla, mentre il poliziotto sta investigando il messaggio del primo partendo dal presupposto che ogni messaggio dovrebbe avere un senso. Non so se si possa poi parlare qui di un abbozzo di epistemologia eliadiana, ma risulta che il suo mondo è radicalmente cambiato rispetto al mondo giovanile dello yogi, di questo personaggio che arrivava a conoscenze straordinarie. Ora, nel mondo di Eliade, tutto sembra ridursi a scambi artificiali di informazioni, in cui si parte dal presupposto erroneo che ci sia qualcosa di fondamentale dietro la cifra. Ora Eliade sembra dire che in fondo tutto si esaurisce entro il circolo stretto delle menti umane, quelle che producono messaggi senza senso e quelle che in essi vi decifrano sensi che pur non ci sono. Lasciamo stare l’attore drammatico che vuole rappresentare questo immanente mistero senza riuscirci. Più interessante è l’ebreo errante, che in un certo senso segna il definitivo passaggio di Eliade dalla religiosità indiana alla religiosità giudeo-cristiana. L’ebreo errante sa tutto, l’ebreo errante è Dio. Ma qui vediamo che Dio, sebbene onnisciente, non è onnipotente. Nella storia del cristianesimo e delle sue eresie molti sono stati quelli che hanno negato l’onnipotenza di Dio, anzi una delle correnti più straordinarie della teologia cristiana, il nominalismo, aveva persino dimostrato che tutte le teologie precedenti non avevano effettivamente riconosciuto l’idea dell’onnipotenza di Dio. Non è possibile entrare nel merito di questo fondamentale dibattito, quel che si può dire di Eliade è che l’inquirente chiamato ebreo errante, un personaggio misterioso e divino, non può fare miracoli che coinvolgano il capovolgimento delle leggi del mondo. Non può neppure influenzare un uomo senza la cooperazione di quello. E quando vuol promuovere un matematico eccezionale, non può farlo se non facendo arrivare un suo articolo sulla scrivania di un importante matematico di Princeton. In altre parole l’ebreo errante, che sa tutto, sa anche di avere una potenza limitata sul mondo, sa anche di non poter far tutto. Un’ultima parola va spesa qui sul rapporto tra i sei inquirenti eliadiani e i tre inquirenti a cui fa testa questo convegno, cioè Socrate, Don Giovanni e Sherlock Holmes. Come abbiamo visto la tipologia di Eliade è un po’ diversa, l’unico che possiamo identificare con Sherlock Holmes è il poliziotto che usa dei metodi classici di informazione per ottenere conoscenza precisa su tutto quel che può essere conosciuto nel mondo umano. Sebbene Eliade sembri addirittura, a volte, mostrare una certa stima per il poliziotto, questi finisce sempre per imboccare strade sbagliate; è fuorviato dall’idiota che vive in un suo mondo incantato, e fuorviato anche da chiunque produca un messaggio che non contenga informazioni sul mondo umano, perché il poliziotto tende a ridurre tutto a rapporti presenti nel mondo: perché le verità di cui va alla ricerca non sempre hanno attratto una sola sfera di conoscenza ma varie sfere, e perché perfino il più umile scienziato scopre cose che il politico legge nella sua chiave, travisandone il senso primario. Il mondo complesso che ne risulta, sembra dire Eliade, può essere buffo, interessante o tragico, a seconda del caso. Ma è sempre un mondo di equivoci in cui i messaggi acquistano un significato che non hanno attraverso la lettura erronea dei gestori del potere.

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