Un progetto di lotta poetica

In un’epoca contrassegnata da un narcisismo di massa, anche nel caso della poesia lirica lo “io” dell’enunciazione poetica, per essere tale, deve superare lo “Io” esistenziale, quello del poeta. La poesia non appartiene a nessuno e nutre tutti coloro che ne hanno bisogno vitale.

Nel discorso quotidiano, nella comunicazione in una lingua che ci accomuna, le parole indicano direttamente le cose, persone, temi, gossips ed evaporano immediatamente lasciando la scena alla persona, cosa, evocata-indicata. L’autonomia che caratterizza il discorso poetico integra il nominato in un mondo altro che non evapora e permane finché avrà dei lettori.

Tomaso Kemeny

In un’epoca, di perverso soggettivismo, può anche meravigliare il fatto che le maggiori opere della nostra tradizione appartengano all’ordine didascalico, storico o mitico. Basti ricordare l’Iliade, l’Odissea, il De rerum natura, le Georgiche, l’Eneide, la Divina Commedia, la Légende des siècles… La forma poetica che unisce il sogno individuale al sogno collettivo e all’immaginario è quella nutrita da tensioni mitiche, tensioni in grado di trascendere il pensiero etnocentrico che ci lega alla nostra patria per aprirci al pensiero circolare delle origini comuni, quella che esige il sentimento di una fratellanza primigenia.

In ogni caso la grande poesia apre al lettore una “realtà” altra, unendo indissolubilmente il senso evocato alla lettera e alla sonorità, impregnando, sospendendo la razionalità nel sogno ad occhi aperti o nella visione. Il poeta contemporaneo ha la possibilità di tracciare frammenti integrabili in un organismo vivente, correlativo oggettivo dell’universo in espansione ipotizzato dalla scienza.

Ma per fare questo il poeta deve attivare una pluralità di punti di vista confermando il discorso poetico come una forma di energia plurima in ricominciamento permanente.

In un presente oscillante tra la pulsione di morte e di possesso, la grande poesia trasfigura i semi di morte del linguaggio comune in una meravigliosa fioriture in fieri. Evitando cristallizzazioni verbali, e costruzioni di languore, di nostalgia e speranza in “poetichese”, si chiede al poeta di amare tutto senza chiedere nulla.

In un mondo taroccato, dove tutto ha un prezzo e nulla un valore, si chiede al poeta di imprimere nel tempo quella energia metamorfica da cui sorgano quei valori estetici che sono anche autentica e profonda moralità.

 

È il sentimento del sublime ad accendere la lotta all’Impero del Brutto, mentre il pensiero mitico favorisce l’irruzione del sacro evocando nuove avventure per l’immaginazione, mentre solo la passione poetica potrà tradurre in parole umane il sogno infinito che dimensiona l’Universo.

Insomma, quando un testo poetico oltrepassa i limiti dei discorsi codificati e codificabili e innalza la lingua madre nel meraviglioso della creazione; quando il verbo poetico apre il mondo all’eterno ritorno alle origini, l’immagine dell’inizio si manifesta come abbagliante e, allo stesso tempo, non del tutto visibile. Al di là della luce della pura riflessione, ci sconvolge l’enigma non del tutto penetrabile dell’immagine che precede pensiero e la stessa immaginazione consapevole.

Se le parole sciolgono e vincolano alle cose, le immagini suggeriscono legami impossibili o perduti. Dalle buie caverne del sogno a occhi aperti, l’uomo adulto percepisce il linguaggio delle immagini, immagini le cui correlazioni, da svegli, sfuggono al controllo della veglia. Impersonale, il linguaggio delle immagini non è confinabile nell’anima infantile o primitiva. Esso connota la solitudine infinita dell’uomo, che come nei sogni, non si percepisce nella forma della coppia o di un insieme più o meno numeroso di persone. Animata dal ritmo nascente, l’immagine poetica porta a naufragare la gioia visionaria e il canto nell’enigmatico residuo accecamento, in un silenzio solitario e onnivoro.

Se tutte le forme dell’arte si concretizzano nel linguaggio della bellezza, è la parola poetica, e la sua sete di assoluto, a portare a trascendere con più vigore lo “io” solitario del fruitore in un “noi” di varia consistenza, di gruppo, di appartenenza ideologica o nazionale, o di universale fratellanza, a seconda delle sensibilità del lettore.

D’accordo con Callicle, e il suo “os pleiston epirrhein” (“versare il più possibile”), penso che solo l’eccesso possa fronteggiare le miserie della mediocrità e del risparmio; aiuta anche a lottare lottare, senza requie, contro l’Impero del Brutto. Guerra dichiarata, sotto le bandiere della bellezza insurrezionale, dal Mitomodernismo negli anni ’80 e oggi perseguito dal movimento internazionale Poetry and Discovery alimentato dall’impegno di chi scrive insieme a Flaminia Cruciani (nome di battaglia ‘Nothung’), Pietro Berra, Paola Pennecchi, Angelo Tonelli, Germain Droogenbroodt, Mirna Lopez Ortiz Chicca Morrone, Géza Szocs, Endre Szkàrosi e altri che convergono con il loro entusiasmo insostituibile nel tentativo di rovesciare il Dio Denaro del suo trono, per l’invenzione di un percorso nuovo rischiarato dal lampo dell’immaginazione al grido “Fight for beauty!”.

Se il cosiddetto “uomo-medio” può esibire solo un’identità incerta, tanto da apparire interscambiabile, il poeta percorre i confini estremi della depravazione e della santità per affermare, al di là di un avvenire ordinario, che la bellezza non si fondi sulla proprietà di cose (come avvertì anche la psicanalista lacaniana Adele Succetti), persone, oggetti, ma sulla capacità di fare vivere e rivivere l’esperienza, drammaticamente incompiuta, dell’interiorità individuale e collettiva coll’assoluto.

In questa prospettiva ho assunto l’impegno assegnatomi da Jaca Book, nella persona di Vera Minazzi, a realizzare una collana di poesie (“Cantos”) che segnali la vitalità della poesia in Italia e nel Mondo. Chiudo il discorso con il pentalogo denominato Il piccolo io e l’universo:

  1. Basta
    con la cristallizzazione delle menti, con i vulcani spenti dell’immaginazione
  1. Basta
    col pensiero immerso nelle paludi del piccolo io, basta con i sensibili parrucchieri dell’intimità.
  1. Nessuno dorma
    rimirandosi negli specchi di versi vuoti stuzzicorecchi mentre si inspessisce la complessità del reale.
  1. La grandiosa bellezza
    iscritta nella materia dell’universo sia la guida iniziale per la nascita di un noi universale.
  1. Sotto la minaccia di un istupidimento mondiale, lavoriamo alle genesi mitica di una nuova luce aurorale.

 

 

Tomaso Kemeny
Febbraio 2017

Incontri possibili

A Correggio in Piazza Francesco c’era la  curiosa sartoria Soffici dove si davano appuntamento artisti più o meno coetanei.

Maso di Banco allestiva le vetrine e Lucio Fontana andava a farsi cucire i tagli da Andrea del Sarto. Del Guercio invece la evitava perché spesso era frequentata dal Guercino.

Qualche volta capitava che qualcuno portasse prelibati piatti, Sebastiano Ricci arrivava con degli spaghetti e Francesco Cozza con dei gamberi.

Il Sodoma vi passò per assaggiare un Parmigianino sul Carpaccio.

Antonio Badile, amante di Antonio Campi, un giorno disse che a Brindisi dei Soldati armati di Tamburi e Pistoletto stavano sparando a Paolo Uccello con delle freccette di Antonio Balestra.

Pietro Bracci, dai gambi corti, replicò: “Füssli che Füssli la volta bona!”.

Un giorno un uomo Aalto e Nigro venne a bottega e raccontò la storia di un Cantatore Greco al quale mancava una Rotella e di un manipolo di guerrieri sulla Costa del Fiume che dicevano che ci sarebbe voluta la protezione di Angeli custodi e la cura di Dottori. Si fermarono sotto un Albers mangiando Del Pezzo di Pomodoro e del Nespolo. Sopra un Sassu il Paladino Clemente incise con ferri di Fabbri le parole: “Che Dio ci Guidi”. All’improvviso giunse una Vedova in Bianco urlando: “State attenti che il Burri non si Cagli!”

L’apoteosi fu raggiunta durante una gran festa quando Botticelli esclamò: “Che Bellini quei Martelli in Lega di Bronzino!”.

Il Pollaiolo volava su Jacopo della Quercia, felice di aver messo Radice in profondità.

Fuori, dal Piazzetta al Canaletto, ci passava un Lotto.

Medardo Rosso, che ne aveva abbastanza di Rosso Fiorentino, considerava le manine di Segantini troppo piccole per i polsi di Tiberio Calcagni.

Ma ci fu una gran confusione quando si scoprì che Andrea Sacchi se la faceva con lo Squarcione.