Giancarlo Ricci

Scrivere su Giancarlo Ricci significa riaffrontare l’eco di svariati ricordi e suggestioni che non possono, è ovvio, lasciarmi indifferente e distaccato. Nell’ultimo periodo, a causa del Covid-19, ci siamo visti di meno. Dovevamo incontrarci proprio la mattina successiva alla sua morte, avvenuta il 20 maggio 2020. Ci eravamo visti ai primi di maggio, dopo più di due mesi. Ne ho ricevuta notizia durante la notte da un’amica. In quella notte non riuscivo a prendere sonno, che strano! E poi la notizia, un sms che mi ha sconvolto, oltre che addolorato profondamente. Negli ultimi mesi, e mi riferisco ai primi mesi dell’anno, avevo notato il suo dimagrimento, o meglio, un evidente deperimento fisico, ma non avevo voluto dargli troppa importanza. Era evidentemente il mio tentativo di negare la realtà, di rimuoverla, un poco barando con la mia coscienza. Del resto egli mi si presentava assolutamente tranquillo, sereno e sorridente, come sempre. Certo, potevo chiedergli: Come stai? La salute come va? Non l’ho fatto. È un piccolo rimpianto che mi porto. Ho preferito, anche nel momento in cui ci si salutava e in cui non era insolito che gli chiedessi di lui, delle sue ultime pubblicazioni o su che cosa stesse scrivendo, ho preferito parlare d’altro, parlare di me, dei miei progetti. Era certo nell’ordine delle cose che si fosse parlato di questo. Poi lui non parlava volentieri della sua salute e glissava facilmente. È vero, ma non riesco a non pensare che siano delle giustificazioni postume e inutili.

Egli, negli ultimi mesi e già dall’anno scorso, mi diceva che stava lavorando sul tema del passaggio generazionale e dell’eredità nel suo significato simbolico. Il lascito dei padri ai figli e quello che nell’incontro tra le generazioni viene trasmesso. A tal proposito, mi citava spesso gli scritti del giurista e psicanalista francese Pierre Legendre che lui leggeva con grande interesse, ritrovando in essi una miniera di spunti di ricerca. La figura del padre risultava centrale in questo discorso e ricordo perfettamente i suoi continui riferimenti alle figure mitiche di Ettore, del figlio Ascanio e del padre Anchise. Ettore fugge dalla città di Troia in fiamme ma vuole portarsi dietro l’anziano padre, caricandoselo sulle spalle, e il figlioletto, che tiene saldamente per mano. La moglie Creusa rimane un po’ indietro a seguirli. Vi è una copiosa e antichissima iconografia che raffigura questa situazione. Perché, si chiede Giancarlo, Ascanio non viene affidato alle cure della madre e viene tenuto da Ettore accanto a lui, in prima linea, dove il rischio è più grande? Evidentemente perché considera ormai Ascanio il figlio a tutti gli effetti e, in quanto tale, erede e destinatario di una promessa e di un compito. Quindi, non più solo un bambino. Il bambino si situa ancora nell’ambito del desiderio materno, ma il figlio non più. Leggi tutto “Giancarlo Ricci”