Giuseppe Novello e Il Guerin Meschino

Giuseppe Novello (Codogno 1897 – 1988) è stato uno dei più grandi disegnatori umoristici italiani del Novecento, le cui vignette hanno varcato i confini nazionali, per confluire in libri, albi e riviste, tedesche, spagnole e francesi.

Nel 1929 grazie al successo di La guerra è bella ma è scomoda, 46 tavole – come la 46° compagnia del battaglione Tirano di appartenenza di Novello durante la Ia Guerra Mondiale, dove fu ufficiale degli Alpini e con il testo di Paolo Monelli (Fiorano Modenese, 1891 – Roma,1984) col quale per lungo tempo ha condiviso numerose imprese editoriali -, approda al «Guerin Meschino» fra i maggiori giornali umoristici del tempo, in un periodo nel quale dopo le leggi emanate dal Fascismo dal 1922 al 1925, per limitare la libertà di stampa, era difficile fare satira di impegno politico e la maggior parte dei giornali umoristici si dedicava a quella di costume.

Nella Guerra è bella ma è scomoda il disegno di Novello è sintetico, calligrafico e brulicante, ricco delle figurine caricaturali degli alpini, di intensa stilizzazione, simili alle figurine di Attilio Mussino comparse sul «Corriere dei Piccoli» negli anni della Grande Guerra. A metà del 1929 Novello inizia la breve collaborazione (un semestre circa) al «Guerin Meschino» la storica rivista umoristica milanese fondata nel 1882, che ha avuto fra i suoi disegnatori Luigi Conconi, Amero Cagnoni, Aldo Mazza, Giuseppe Russo (Girus),  Giovanni Manca, Vellani Marchi, e molti altri maestri ed amici di Novello.

Il ritorno del Parini

La prima tavola di Novello sul «Guerin Meschino» compare nel numero del 9 giugno 1929, ed ha per titolo Il ritorno del Parini. La tavola satireggia le esuberanze atletiche contemporanee del giovin signore: aeroplano, moto, sci, calcio. Un disegno molto ricco di movimento, a più quadri, con il giovin signore e la caricatura del Parini e la didascalia: «Mi rallegro giovane signore della mollezza ben guarì… Piuttosto mi spiacerebbe che, per troppo ardore, ora cadesse nell’eccesso opposto».

Dopo l’abolizione dei concorsi di bellezza

Il 16 giugno Dopo l’abolizione dei concorsi di bellezza, un disegno bipartito prima fanciulle discinte, poi con lunghe gonne, didascalia: «Le Ex-Reginette- Basta le gonne un po’ più in giù per concorrere ai premi di virtù».

Sul campo di battaglia derattizzato

Il 30 giugno, Sul campo di battaglia derattizzato, interno novelliano con personaggi che si turano il naso e cercano ogni dove (nel pianoforte, sotto e sopra l’armadio…) un topo morto. Didascalia: «Il disperso».

Le nuove vetture tranviarie

Il 7 luglio Le nuove vetture tranviarie, scienza bipartita, in alto una signora obesa con la testa impigliata nella porta di entrata e in basso il pigia pigia dei passeggeri in uscita sparati verso il cielo. Battuta: «Caricamento e sparo: ecco i momenti del nuovo tram da 420». Così per una trentina di tavole per un semestre, a commentare gli avvenimenti del tempo. La didascalia o la battuta è spesso in strofette a rime baciate o alternate al modo del «Corriere dei Piccoli» e in particolare del Signor Bonaventura di Sergio Tofano-Sto (1886 – 1973); personaggio nato dalla mente di Sto nel 1917.

I musei a sbafo

Altro esempio oltre a quelli già citati sopra: «I pesci, il pan moltiplicato hai / Ma il pubblico così, Maestro, Mai!» (Musei a sbafo, 4 – 8 – 1929). Il disegno riproduce un esilarante e caotico pubblico davanti all’Ultima cena di Leonardo. Questo uso delle rime andrà a perdersi nelle battute e didascalie degli anni successivi. Il buon Todde del suo volume ci avverte: «A Novello però, il compito di commentare settimanalmente gli avvenimenti della cronaca o della politica, milanesi o nazionali, non è né congeniale né gradito: Novello punta sul costume (vedi le due tavole per L’Almanacco sonoro e cantato del Guerin Meschino, supplemento al n. 50 del 15 dicembre). La conclusione è che Novello dopo sei mesi, viene “congedato”: “Sono stato licenziato per scarso rendimento” dice, abbassando gli occhi con l’aria di uno scolaro bocciato agli esami. Ma aggiunge subito: “In seguito (dopo l’uscita – fortunata – del Signore di buona famiglia) hanno insistito perché tornassi. Ho detto di no”». Collabora brevemente al «Giovedì» e poi dal 1932 al «Fuorisacco», supplemento della «Gazzetta del Popolo», fino al 1939.

Pape Satàn Paperino (ovvero Dante e i fumetti)

La Commedia è la più importante opera letteraria del Medioevo occidentale.

La poesia della Commedia è ricca di riferimenti alla storia, alla filosofia, alla teologia, alla scienza. Anche all’attualità. Dante se la prende giorno per giorno con amici e nemici. Guelfi e ghibellini. Bianchi e neri. Sta sulla notizia, sta dentro, sta sul pezzo come un reporter: cambia idea e prospettiva durante le tre stagioni della migliore serie di tutti i tempi (assieme alle sette della Recherche e al cofanetto completo di Omero): la Divina Commedia.

Per leggerla e capirla occorrono molte più conoscenze di quelle che servono per leggere un graphic novel di Zerocalcare o una storia a fumetti di Dylan Dog.

La Commedia è stata scritta sette secoli fa, e questo vuole dire che noi lettori di fumetti dobbiamo fare un enorme sforzo di immaginazione e di immedesimazione per calarci nel mondo intellettuale e materiale di Dante, un uomo che aveva idee, opinioni e soprattutto esperienze molto diverse dalle nostre. Ma davvero così lontane da quelle esperite da Dylan Dog, l’investigatore dell’impossibile?

Eppure, eppure proprio per noi lettori di fumetti la Commedia è assai prossima.

Lui è solo, in quel momento della notte prima dell’alba, quando il cielo è ancora buio, ha paura, è disorientato, vulnerabile a ogni pericolo, non sa cosa fare.  Dietro di lui una selva oscura e impenetrabile, da cui è appena uscito sembra ancora minacciarlo, estendendosi con l’ombra del suo intrico fitto di rami. Sudato, ansimante, scorge una collina davanti a sé: lassù la luce dell’alba lo raggiungerà più in fretta. Comincia a salire, ma l’ascesa è più faticosa del previsto. Ha paura di non farcela. A peggiorare la situazione tre belve gli appaiono, una più paurosa dell’altra. Cede, precipita giù. A salvarlo dalla rovinosa caduta appare un’ombra, un fantasma, che con voce pacata e autorevole gli offre il suo aiuto.

Ecco, questa è una sceneggiatura perfetta per una storia a fumetti, con tutti i colpi di scena e i cliffhanger che contiene. Potrebbe essere la scena iniziale di un horror. O di un romanzo di tensione con misteri e delitti. O di una storia di zombie e fantasmi. O un romanzo distopico con questo varco verso l’ultraterreno e l’inizio del viaggio.

Ma non è solo science fiction.

Come su wattpadd è anche fanfiction. I personaggi sono tratti dalla realtà. Come nella fanfiction personaggi realmente esistiti si muovono in un mondo di fantasia. Dante non è solo. Lo guida Virgilio nell’inferno e nel purgatorio fino alle porte del paradiso. Poi la donna amata in gioventù, Beatrice, un’anima eletta, donna che ha intelletto d’amore, degna di stare dopo la morte in sommo cielo. Infine san Bernardo, il grande mistico cristiano che intercederà per lui presso Maria e lo scorterà fino al punto dal quale potrà contemplare Dio.

E poi, come fosse un romanzo di Walter Siti, la Commedia è anche un autofiction, un racconto d’invenzione nel quale continianamente il protagonista è anche l’autore del racconto, infatti il narratore Dante Alighieri racconta la storia di Dante Alighieri, sia poeta sia personaggio, in una sorta di viaggio, di trip mistico e psichedelico, creando tra invenzione e testimonianza una sorta di autobiografia di fatti non tutti accaduti.

Quanto c’è di reale e quanto di fiction in ciò che stiamo leggendo?

E per venire più da vicino al tema, quanto c’è di iconico?

La sua forma è la visione, il suo modo il viaggio attraverso mondi immaginari e soprannaturali.

L’inferno è raffigurato da Dante come un gigantesco cono rovesciato che si spalanca sotto Gerusalemme e si restringe attraverso nove cerchi fino al centro della terra dove ha il suo vertice. A generare questa voragine la caduta di Lucifero, che si trova conficcato come un chiodo al centro esatto della terra. Questa enorme massa di terra spostata ha creato agli antipodi la montagna del purgatorio. Alla sommità di questa montagna il giardino meraviglioso del paradiso fino all’empireo.

Il fumetto e il disegno privilegiano la ricezione dell’inferno. Ma non tanto per la sua idea di tragicità. Pieno di demoni, di animali e di mostri, violento e visionario, pieno di morti ammazzati, di diavoli che volano, di punizioni atroci e fantasiose per i dannati. Odore di pece, di sangue, di merda. Piuttosto il set per un action tarantiniano o per un fantasy splatter. Perfetto per l’immaginario contemporaneo che fa di Dante una pop star. Quasi fosse uno youtuber.

Le rime aspre e chiocce, scandite dal ritmo serrato delle terzine, con il loro stile violentemente realistico, duro di suoni stridenti, disegnano la visionarietà dirompente dell’Inferno. Perfetta per il segno e i colori di Lorenzo Mattotti, forse il più grande romanziere per immagini del nostro tempo, che nel 1999 disegna l’Inferno Dantesco Illustrato, edito dalla casa editrice Nuages, poi ripubblicato nei classici Bur nel 2014.

La traspone in figure inquiete e allucinate. Fantastiche ed espressioniste. Disegna diavoli, mostri e ombre. I suoi pastelli sono materici, antirealisti, combattivi, i colori accesi e pastosi che si caricano di senso narrativo, le figure allungate dai movimenti oscuri senza centro.

Dai rossi infuocati, ai blu e ai verdi e ai gialli di linee sinuose e dinamiche che bloccano figure tragiche, seducenti, peccatrici. Che manifestano un’emotività violenta. Quasi festosa. L’impatto narrativo di questa architettura visiva è enorme. Il viaggio un vero trip, psichedelico.

La deformazione espressiva

Le immagini dell’illustratore reggiano Emiliano Ponzi, di una generazione successiva a quella di Mattotti, sono rappresentazioni fortemente strutturate, ripetizioni, linee di fuga e composizioni.  Il suo lavoro si basa sull’uso di texture, linee grafiche ed essenzialità, per comunicare in maniera diretta e sintetica. Iconico e sofisticato, Ponzi, è stato “scoperto” oltreoceano, dal New York Times, e da lì ha iniziato la sua folgorante carriera tanto da annoverare tra i suoi clienti il New Yorker, Le Monde e The Boston Globe. Le sue illustrazioni ricordano le atmosfere di una certa letteratura e cultura americana della metà degli anni ’50. Penso ai romanzi di Richard Yates e alle opere di Edward Hopper.

Le opere sono disegnate per il libro illustrato L’inferno di Corraini editore, del 2012: dove i peccati sono racchiusi nella sintesi di un dettaglio, nove Cerchi tracciano un ritratto contemporaneo dell’Ade dove i golosi sono intrappolati in un grande ghiacciolo, gli avari indossano un completo di grisaglia con giacca e camicia, i traditori portano a termine trattative seduti nelle loro automobili, gli iracondi sono visualizzati in una coppia di sposi bruciata dalle fiamme.

Michael Meier disegna Das Inferno nel 2010. Das Inferno è apparso come striscia quotidiana sulla Frankfurter Rundschau dal 2 agosto 2010 al 30 luglio 2011.

Nella sua Commedia, Dante raffigura un viaggio grandioso nell’aldilà. Come Virgilio guida Dante e Dante guida il suo lettore, nel suo fumetto Michael Meier ci prende per mano e ci accompagna lungo un viaggio d’avventura oscuro e sotterraneo. È un viaggio comico.

Nel fumetto di Meier c’è molto da ridere.

Si è ispirato fedelmente a Dante e allo stesso tempo ha costruito un’immagine tutta personale dell’Inferno. Ha coniugato l’immaginario dell’inferno dantesco con la visione del mondo che noi abbiamo della nostra contemporaneità. Le punizioni fantastiche che Dante poteva immaginare solo all’inferno, sono tradotte nel nostro mondo, tutto secolare. L’inferno ideato da Dio svanisce nell’inferno che gli uomini hanno costruito per se stessi. La critica della società non è affidata a un giudice trascendente, ma a un’attenta e spassosa descrizione del nostro tempo. L’inferno è diventato accessibile, moderno, polisemico. È pieno di sorprese, allusioni e giochi di parole.

Il Dante di Meier, che si è perso nel Ventunesimo secolo indossando solo una canottiera, ci mette davanti agli occhi l’attualità della Commedia settecento anni dopo la sua prima apparizione.

Sia per quelli che hanno letto la Commedia, sia per quelli che non la conoscono sarà un vero spasso infernale.

Nella primavera del 2014 questi tre artisti hanno esposto le tavole dei loro inferni in una mostra organizzata dall’istituto italiano di cultura di Berlino, in occasione del ciclo “Dantes Spuren / Tracce dantesche”, una mostra sulla ricezione dell’inferno dantesco nell’illustrazione, nel graphic novel e nei nuovi media attraverso i lavori di tre tra i più significativi illustratori contemporanei.

Spaziando dalle antiche illustrazioni della Commedia alle sue contemporanee rappresentazioni fumettistiche si fa un viaggio appassionante che, partendo dai primi incunaboli medievali – quasi prodomi degli odierni comics – avrà massimo sviluppo nell’ottocento di Gustave Doré, per raggiungere la tappa fumettistica nel 1947 con La rovina in commedia, parodia di Jacovitti pubblicata per il giornale satirico Belzebù (odissea infernale nell’Italia post bellica), proseguendo con la parodia disneyana L’Inferno di Topolino disegnata da Bioletto e sceneggiata da Martina in perfette e aggiornate terzine dantesche. È la prima storia italiana a fumetti uscita, nella sua integralità, su Topolino giornalino che si rivelò un inatteso e clamoroso successo.

Dello Jacovitti politico, alle prese con i disastri della “liberazione” e dell’invasore alleato, ricordiamo le due tavole di una storia incompleta, La rovina in commedia, pubblicate sul settimanale satirico “Belzebù” nell’aprile del 1947. L’idea era quella di mettere la Commedia dantesca in chiave di satira politica e parodia sociale, rifacendosi al disastro italiano dell’immediato dopoguerra. Nella selva oscura un anonimo personaggio sperduto (l’Italiano medio) prova a imboccare il sentiero di destra, andando a finire nelle fauci della lonza americana; alla richiesta di un prestito la bestia con la tuba da Zio Sam risponde che lo farà, a patto che gli Italiani stiano fuori dal “mare vostrum”. La via di centro porta al feroce leone britannico, con il quale è impossibile persino iniziare a discutere. La strada a sinistra conduce infine verso la lupa sovietica, che allatta due singolari Romolo & Remo chiamati Tito & Palmiro; questa lupa, infida, sbrana i pantaloni dell’incauto viaggiatore. Appare dunque Dante a far da guida e mostra al protagonista la personificazione della Rovina, una sorta di orrida e laida prostituta cadente adagiata sulle macerie delle nostre città. Nella cornice illustrata che circonda la seconda e ultima tavola del dramma a fumetti si vede un piccolo personaggio che esibisce il pugno chiuso reggendo in spalla un sacco con la scritta “Dongo”…

«Io son nomato Pippo e son poeta

Or per l’inferno ce ne andremo a spasso

Verso un’oscura e dolorosa meta.»

L'Inferno di Topolino

L’inferno di Topolino è la parodia Disney dell’Inferno dantesco, pubblicata sui numeri 7-12 di Topolino dall’ottobre 1949 al marzo 1950. Gli autori sono lo sceneggiatore Guido Martina e il disegnatore Angelo Bioletto; oltre che dei consueti dialoghi nei balloons, Martina è anche autore di un complesso tessuto di didascalie in versi che accompagnano per intero la storia. Si tratta di un vero “poema” in terzine dantesche (endecasillabi in rime incatenate secondo lo schema ABA BCB), sforzo che frutterà a Martina la menzione del nome nella prima vignetta, cosa eccezionale visto l’anonimato in cui lavoravano gli autori disneiani dell’epoca. L’Inferno di Topolino, oltre a essere considerata uno dei capolavori di Martina e del fumetto italiano, è stata la prima Grande Parodia Disney italiana.

Così veniva presentata il 13 novembre 1948, quasi un anno prima della pubblicazione, nel Diario degli amici di Topolino la lavorazione dell’Inferno di Topolino: “Il poeta è Dante Alighieri, l’opera è la Divina Commedia. Dopo essere stata tradotta in tutto il mondo, ha tentato l’estro di Walt Disney, che ha creato per voi L’inferno di Topolino i cui versi sono stati scritti da uno specialista in rime da matti: Guido Martina. E quando Dante più Disney più un matto si mettono insieme, saltan fuori cose infernali, di cui vi diamo qui un piccolo campione.”

L’Inferno di Topolino ironizza sul costume della vita italiana del Dopoguerra, con Topolino nelle vesti di Sommo Poeta e Pippo in quelle del suo compagno di viaggio Publio Virgilio Marone. Tutto il cast dei personaggi disneyani dell’epoca è coinvolto in questa parodia: dai Tre Caballeros al Grillo Parlante, da Mastro Geppetto al Drago Timido, da Dumbo a Eta Beta, da Fratel Coniglietto ai Tre Porcellini. Brilla l’assenza di Paperon de’ Paperoni coi suoi fantastiliardi. Qunado Martina scrive L’Inferno nel 1948, il personaggio non è ancora noto ai lettori italiani che, soprattutto in relazione alle varie ristampe, si domandano il perché dell’assenza dello Zione sulla scena infernale. Sfoderando una satira bonaria Martina e Bioletto citano anche le vincite alla Sisal e Fausto Coppi, Totò e Erminio Macario. Ironizzano sulla trascuratezza del verde pubblico, sugli zolfanelli o sull’uso di salire sui treni in corsa all’epoca dello sfollamento, durante la seconda guerra mondiale, da poco conclusasi.

È il primo capolavoro che incontriamo in questa storia del fumetto, ed è una parodia, umoristica, disneyana.

La storia si apre con il finale di una recita teatrale della Commedia con Topolino nella parte di Dante e Pippo in quella di Virgilio. Invidioso del successo riscosso, Gambadilegno fa ipnotizzare da un complice i due nemici di sempre, i quali continuano a comportarsi come Dante e Virgilio. Dopo una sfuriata di Minni, presa da Topolino per Beatrice, Topolino e Pippo si recano in biblioteca per saperne di più su quel Dante per cui devono “soffrir tanti martìri”; alle prese con un gigantesco tomo della Commedia, i due cadono ben presto in preda al sonno, e Topolino viene catturato dal ramo di un albero dell’illustrazione (di Gustave Doré) della selva e portato all’Inferno… Qui incontra ben presto Pippo-Virgilio, e inizia la loro lunga peregrinazione alla volta della “oscura e dolorosa meta” dove pregare Satana di farli uscire dal “doloroso passo”.

Il viaggio dei due è suddiviso in Canti sul modello della Commedia.

L'Inferno di Topolino - Canto Secondo

Canti I-II: il Canto I non è presente nella storia, che inizia dal secondo con la scena della selva oscura. Tuttavia il celeberrimo incipit “Nel mezzo del cammin di nostra vita” viene parodizzato nell’introduzione da “Correva l’anno tal dei tali”; inoltre la scena del sonno di Topolino e Pippo corrisponde al verso dantesco “Tanto era pien di sonno in su quel punto”. Topolino, nella valle che gli ha “di paura il cor compunto”, incontra subito Pippo a bordo di una vecchia bicicletta; dopo una breve spiegazione, Topolino viene incoraggiato da Pippo (“Muoviti, ribaldo!”) (nell’edizione originale l’incitamento di Pippo/Virgilio era “muoviti maledetto”, che poi è stato, per motivi oscuri, forse di censura, modificato in “muoviti, ribaldo”, e in “muoviti, insomma” in altre edizioni) e alcuni diavoli ad intraprendere il viaggio verso il profondo Inferno.

Canto III: Topolino e Pippo non incontrano né la lupa né la lonza, ma in compenso un leone con le mansioni di vigile tenta di multarli per l’assenza di fanale e catarifrangente. Topolino si libera del leone con un gancio sinistro, e i due viandanti giungono infine alla porta dell’Inferno. Tra le iscrizioni presenti, campeggia “Tenere la sinistra: la destra è stata smarrita” che parodizza il dantesco “sì che la diritta via era smarrita”. Topolino e Pippo si presentano al cospetto di Caronte, il quale tenta di allontanarli ma poi accetta di imbarcarli dopo aver saputo che sono poeti (e quindi “sempre morti di fame”), anche se Topolino si confonde presentandosi come colui che ha cantato “le donne, i cavalier, l’armi, gli amori” (al che, Pippo lo sgrida: “Per Giove, sei un ignorante: l’ha scritto Ariosto, non l’ha scritto Dante!”)

Canto IV: Topolino e Pippo entrano nel limbo, in cui gli studenti si vendicano di coloro “che fanno tristi gli anni della scuola”: Orazio, Platone, Cicerone, e soprattutto la personificazione dell’Aritmetica. Poi incontrano – come Dante – Omero e Giulio Cesare, ma anche la personificazione del Sofisma e della Filosofia.

Canto V: Topolino e Pippo scendono nel secondo cerchio, in cui nel salone di bellezza di Minosse vengono puniti i vanitosi che “in testa non avevano cervello / ma solo brillantina sui capelli”. Nella Commedia Dante incontra – dopo Minosse – i lussuriosi (tra cui Paolo e Francesca) che volano in balìa del vento: nella storia ciò si traduce in una bufera che travolge coloro che si “davano arie”.

Canto VI: I due protagonisti si ritrovano nel cerchio dei golosi, e scampano per poco a Cerbero; Pippo cade nella padella di un diavolo che lo offre a Qui, Quo, Qua a mo’ di cappone. I tre fratelli, però, salvano Pippo e tornano in Terra redenti dalla buona azione. Nella Commedia e nella storia il canto si chiude con il verso “Quivi trovammo Pluto, il gran nemico”.

Canto VII: Topolino e Pippo incontrano in effetti il cane Pluto, che Pippo riesce a distrarre con un osso di seppia per canarini. Come nell’Inferno, in questo canto troviamo avari e prodighi: Topolino e Pippo incontrano tra gli avari il cassiere Eli Squick, che “sol godeva udendo fare click / Nel chiudere il portello del forziere”.

Canto VIII: I due “poeti” entrano – come Dante e Virgilio – nella barca di Flegias per attraversare la palude Stigia, dove sono puniti i litigiosi (“Sembra di assistere a una partita di calcio!”). Come Dante viene aggredito da Filippo Argenti, Pippo viene assalito da un professore che pretende di dargli zero in tutte le materie (la satira dell’ex-insegnante Martina contro i colleghi “che gli studenti fanno viver grami”). Scesi dalla barca, giungono alle porte della città di Dite (“Città di Dite – Riscaldamento autonomo”), ma come nell’Inferno una guardia di diavoli impedisce il passaggio. Se nel canto Nono dell’Inferno giungeva un messo del cielo ad aprire la porta, nella storia interviene Dumbo che potrebbe portare in volo Topolino e Pippo se non avesse il “serbatoio vuoto”. A questo punto calano su di loro le due furie Eulalia ed Enza, che soffiano dal naso un ciclone di fiamme: Topolino le sfrutta quindi come motore a reazione legandole ai fianchi di Dumbo.

Canto IX: Topolino e Pippo sorvolano l’area degli “scoperchiati avelli” in cui, invece degli eretici, sono puniti gli iracondi che “prendevano fuoco troppo facilmente”.

Canto X: Dante qui ha un battagliero colloquio con il guelfo Farinata degli Uberti; Topolino trova invece Gambadilegno, che lo sfida ad un incontro di lotta. Tale incontro prende le sembianze di un vero evento sportivo, con Cucciolo (che dovrebbe essere muto) nella parte di radiocronista. Infine, da un’arca salta fuori Paperino, che vorrebbe fuggire ma viene rinchiuso da Topolino e Pippo: scaglia quindi una maledizione (“Vi seguirò per tutto l’inferno!”).

Canto XI: Saltato per sfuggire a Paperino.

Canto XII: Il Minotauro dantesco è rappresentato da Toro Seduto in motocicletta; in luogo dei centauri, poi, Topolino e Pippo incontrano I tre caballeros su un tappeto volante: Paperino, José Carioca e Panchito. Paperino continua a mostrarsi ostile, e viene congedato da Topolino con un calcione (“Guarda la virtù mia s’ell’è possente!”).

Canto XIII: Analogamente alla Commedia, Topolino-Dante e Pippo-Virgilio si addentrano in una squallida selva “in cui già padre Dante aveva notate / non fronde verdi, ma di color fosco”. Alberi secchi, prati polverosi, frutti velenosi rendono la selva somigliante al “Parco di Milano”. Topolino e Pippo riescono a salire su un minuscolo treno in transito, ma la loro corsa termina ben presto contro un albero. I due amici vengono assaliti dalle Arpie, che inizialmente hanno le sembianze della strega di Biancaneve e poi si rivelano essere tanti Paperini inferociti. Tentando di scacciarli, Topolino stacca un ramo da una pianta, ma si accorge di aver lacerato un peccatore tramutato in albero (come Pier della Vigna). Si tratta di Cosimo, giovane cugino di Clarabella, che spiega come nella selva siano puniti i violenti contro le cose e in particolare gli studenti che danneggiavano banchi e muri. Il contrappasso consiste nell’essere usati per costruire banchi scolastici, posti in un’aula popolata di somari (invece delle cagne dantesche) e sistematicamente distrutti a calci. A interrompere la pena è l’intervento della Fata Turchina (erroneamente chiamata Biancaneve), con l’aiuto del Grillo Parlante che convince i bambini a ottemperare ai propri doveri con coscienza.

Canto XIV: Non viene citato (nella Commedia vi sono i violenti contro Dio).

Canto XV: Qui Dante incontra, tra i violenti contro la natura (i sodomiti), il vecchio maestro Brunetto Latini, con il quale ha un cordiale dialogo. Analogamente Topolino, procedendo in un deserto su cui piovono fiamme, incontra il suo vecchio maestro di scuola: egli è punito per l’aver “predicato bene” e “razzolato male”. L’interpretazione delle fiamme cambia radicalmente: se nella Commedia rappresentano la passione insana, nella storia sembrano neve e in realtà sono fuoco, come i peccatori che sembrano buoni e in realtà sono malvagi.

Canto XVI: Saltato perché “contiene gli stessi peccatori del XV, e poi sappiamo già di cosa si tratta!”.

Canto XVII: Dante e Virgilio scendono in Malebolge in groppa al mostro che simboleggia la frode, Gerione; Topolino e Pippo si affidano a un drago che li avverte: “Stiamo entrando nella parte più terribile di tutto l’inferno!”. Al “Gran Bar di Malebolge”, infatti, sono puniti i “frodatori” – tra cui Fratel Coniglietto – a mollo in un mare di pece con le sembianze di cioccolata, che richiama la pena dei barattieri del canto XXI dell’Inferno. Viene parodizzato anche l’inganno dello scaltro Ciampòlo ai danni dei diavoli nel canto XXII: Fratel Coniglietto riesce a fuggire alla pena trascinando al suo posto Compare Orso.

Da qui in poi i numeri dei canti non sono più segnalati, ma alcuni si possono ricostruire a partire da episodi corrispondenti nella Commedia.

Canti XVIII-XIX: Non presenti. Nella Commedia vi sono i ruffiani e seduttori, gli adulatori e i colpevoli di simonia.

Canto XX: Come Dante, Topolino e Pippo incontrano gli indovini (ed Eta Beta), costretti a girare come trottole con un sacco sulla testa. Curiosità: alcuni di essi sono raffigurati con delle schedine davanti a un tabellone di risultati di partite di calcio, tra cui spiccano “Venezia-Juventus 12-0”, “Inter-Milan 6-1″” Internazionale e Totò-Macario 0-0″.

Canti XXI-XXII: Vedi Canto XVII.

Canto XXIII: Qui Dante trova gli ipocriti, mentre Topolino e Pippo assistono alle pene dei suggeritori e degli alunni che marinavano la scuola fingendo di essere malati.

Canti XXIV-XXV: Invece dei ladri della Commedia, Topolino e Pippo trovano Ezechiele Lupo alle prese con I tre porcellini: dopo il tentativo fallito di rapirli per mangiarseli, il “re dei ladri” viene ridotto a mal partito da un’esplosione, un attacco di galline (corrispettivo dei serpenti danteschi) e un tiro di schioppo.

Canto XXVI: Il celeberrimo canto di Ulisse. I consiglieri fraudolenti, nella storia, sono i giornalisti. Topolino e Pippo incontrano Flip, l’animaletto di Eta Beta, all’avvicinarsi del quale “la verità viene a galla”: e infatti i giornalisti iniziano a scrivere per terra con la lingua “Io fui bugiardo”. Poco più in là i due incontrano una fiamma cornuta che racchiude (invece di Ulisse e Diomede) le due anime di Paperino: una metà buona e l’altra cattiva. Topolino e Pippo riescono a spegnere la fiamma cattiva, e così il Paperino “buono” accompagna i due amici verso la “Gelateria della Giudecca”.

Canti XXVII-XXXII: Non presenti.

Canto XXXIII: Il canto del Conte Ugolino. Topolino incontra l’arbitro di calcio Ugolino, intento a rosicchiare un pallone, che gli racconta la sua fine (“Parlare e lagrimar vedrai insieme!”): egli arbitrava a Pisa “una partita / ch’avea in palio il titolo di campione”, e per salvare la squadra che gli aveva dato un milione, non fischiò un rigore. Egli morì, infine, per gli accidenti lanciati dai tifosi. Ugolino dà un morso ancora più forte al pallone (“Ahi football, vituperio delle genti!”) causando uno scoppio che catapulta Topolino, Pippo e Paperino verso la voragine dell’inferno più profondo.

Canto XXXIV: Dante vede Lucifero al centro del lago di Cocito intento a maciullare Giuda, Bruto e Cassio. Ne descrive la mostruosità e il cammino compiuto da lui e Virgilio sul suo corpo, salendo per un oscuro cammino a “riveder le stelle”. Topolino, da parte sua, incontra lo stesso Dante che punzecchia con una gigantesca penna i “traditori massimi”, cioè gli autori della storia. Essi confessano di averlo tradito scrivendo e disegnando la parodia del suo Inferno; Topolino tuttavia ferma Dante e gli fa sentire il coro dei ragazzi felici per aver letto la storia. Al grido di “Perdono!” e “Assoluzione!”, Dante assolve “con la condizionale” i due autori, che lo ringraziano e promettono di non tradirlo più. Dante, infine, vedendo partire i tre pards e i due autori lascia loro il suo ultimo messaggio: se nella Commedia gridava “Ahi, serva Italia, di dolore ostello!” oggi affida al suo verso “la certezza / D’una speranza bella e pura” (si ricordi che l’Italia era appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale), concludendo il canto con “Il ciel per te s’accenda di fiammelle / Splendenti a rischiararti ancor la via / Sì che tu possa riveder le stelle! Dio ti protegga, Italia. Così sia!”.

Sempre dalla penna di Martina uscirà anche la sceneggiatura di Paolino Pocatesta e la bella Franceschina, dove Paolo e Francesca diventano Paperina e Paperino, futuro protagonista de L’Inferno di Paperino, scritto da Marconi e dipinto da Chierchini con la tecnica con cui si realizzavano i cartoni animati. Viene pubblicata su Topolino numero 1654 del 9 agosto 1987.

Qui, Quo e Qua regalano una crociera fluviale sul Colorado a Paperino, essendo molto stressato: durante la vacanza, però, si imbatte nell’entrata dell’Inferno che esplorerà in compagnia di Virgilio, alias Archimede. Come nell’Inferno dantesco, anche in quello disneyano vale la legge del contrappasso:

  • gli inquinatori vengono risucchiati in un vortice di immondizia;
  • quelli che abusavano della burocrazia vengono colpiti da timbri giganti o passati sotto distruggi-documenti “piacevati in vita usar lo timbro? E allora…Tiè!”;
  • i piromani vengono trasformati in alberi e assaliti da corvi sputafuoco (che Arkimedio chiama Erinni) che dicono continuamente “piro…mani” e alimentano le fiamme sui tronchi dei malcapitati peccatori;
  • coloro che usavano la macchina a sproposito sono costretti, vettura sulle spalle, a dovere fare la fila a infiniti semafori;
  • quelli che “spregiaron li pedoni all’incrocio” vengono ora inseguiti e travolti da una specie di macchina infernale;
  • coloro che abusavano delle apparecchiature elettroniche vengono ora assorditi o colpiti da stereo e TV demoniaci;
  • i golosi vengono costretti a consumare continuamente purganti e cibi sgradevoli;
  • coloro che in vita sono stati tirchi e avidi, sono costretti a trasportare sacchi di denaro e altri oggetti preziosi per poi vederli fondere nella lava.

Fatti non foste a legger comics bruti, ma per seguir storielle di valenza” recita il Dante. La Divina Commedia a fumetti di Marcello Toninelli sulle pagine di Off-Side nel 1969, versione a strisce della Commedia che, alla chiusura della rivista, verrà ripresa su Undercomics e poi su Il Giornalino, pubblicando tutte e tre le cantiche nella versione più completa mai realizzata.

Il lavoro di Toninelli, fatto secondo lo stile narrativo della striscai umoristica classica, è divertente e pedagogico. Veloce, ironico, mai troppo dissacrante: poca teologia, storia quanto basta, ma tanto divertimento nella penna, che disegna un segno semplice ma efficace. Virgilio è simpatico, Dante scapestrato, spesso inadeguato e scioperato.

Divertenti anche La vita e il Dizionario alfabetico dei personaggi.

Il viaggio fumettistico della Commedia prosegue sulle pagine di Nathan Never, Cattivik di Bonvi e poi ceduto a Silver e il diavoletto Geppo di Sandro Dossi, carlbarcksiano inventore di questo diavolo buonissimo, costeggia infine il Giappone col manga di Go Nagai.

Go Nagai è il mangaka che ha creato Jeeg Robot, il manga che ha ispirato il superoe di periferia del miglior film italiano della stagione, Mazinga, Goldrake, Ufo Robot e l’intera epopea supereroistica dei super robot, enormi robot guidati all’interno da esseri umani.

In principio più della carta potè l’antenna.

Dalla seconda metà degli anni Settanta i dirigenti delle reti televisive italiane, sia Rai sia private, cominciarono a saccheggiare i magazzini degli studi di produzione giapponese di disegni animati.

Una generazione di ex bambini spettatori originari delle serie giapponesi tv era pronta a far esplodere la febbre dei manga. In Italia tra le collane Bonelli e Disney, il manga diviene il terzo polo del fumetto. I manga sono avversati da genitori e insegnanti come di solito avviene per tutti i buoni elementi della cultura popolare. Era comunque pronta una prima generazione Goldrake, i suoi membri avevano scoperto la cultura pop giapponese nei tardi anni Settanta e oggi hanno quarant’anni.

Il manga è una forma espressiva di grande libertà, sfuggita alla bigotteria religiosa, alle oppressioni che la ragione impone alla fantasia, alle censure e alla ipocrisia del buon gusto omologato.

Il manga sa far ridere, sa far paura, commuovere e indignare megli del fumetto dei super-eroi della tradizione americana.

Profondo innovatore in ogni campo del fumetto giapponese, con il manga Mao Dante Go Nagai inizia la sua esplorazione delle tematiche religiose e demoniache. Da quanto dichiarato da Nagai stesso, fonte di ispirazione per Mao Dante e successivamente per Devilman fu una copia della Divina Commedia di Dante Alighieri illustrata da Gustave Doré, che aveva avuto modo di leggere durante l’infanzia.

L’opera è pubblicata in tre volumi da Kodansha tra il 1993 e il 1994.

I primi due dedicati all’inferno, il terzo a purgatorio e paradiso.

La commistione tra stilemi narrativi orientali (ovviamente anche grafici: guardate il Caronte col remo in mano), le incisioni di Dorè, il gusto splatter, la vena erotica e la trama della Commedia era rischiosa. Un po’ come se Quentin Tarantino decidesse di ispirarsi alla Commedia per il suo prossimo film. È evidente: il rischio che potesse venir fuori una cosa ridicola era alto. Go Nagai ha rischiato moltissimo ad affrontare la riduzione a fumetti del libro più bello al mondo. Ma ha vinto la sfida. La sua versione è un capolavoro. Splatter e stracult, ma sempre capolavoro è.

Dal punto di vista squisitamente grafico Nagai cerca di attenersi alle celeberrime rappresentazioni dell’incisore ottocentesco Gustav Doré: alcune tavole sono la riproposizione, anche abbastanza precisa, delle incisioni del pittore francese. L’uso del nero è ovviamente massiccio (esiste un luogo più nero dell’Inferno?), l’uso dei retini è moderato mentre gli sfondi cupi fatti a mano, linea per linea, abbondano.

Il tratto del maestro è inconfondibilmente “nagaiano” per quanto riguarda le fisionomie di Dante, Virgilio, Beatrice (la più “nagaiana” di tutti nella sua versione erotica), l’Angelo, Francesca e molti altri dannati, mentre per i mostri (Caronte, Minosse, le Gorgoni, Flegias, Plutone…) si attiene per quanto possibile alla versione di Doré.

Pensiamo all’ottavo girone è composto di dieci fossati circolari che discendono come una scala.  Dante e Virgilio ci arrivano come in una scena di Harry Potter, volando seduti sulla groppa del mostro Gerione, simbolo della frode. Siamo a Malebolge, onomastica dantesca e harrypotteriana. L’Inferno è una cavità completamente buia, in cui ristagna aria densa, che Dante definisce di color “perso”, nero con una cupa sfumatura di rosso. Come una tavola di Mattotti. La prima bolgia è l’inferno dei ruffiani. Sono sferzati con forza dalle fruste dei diavoli. La seconda bolgia è un mare di merda, l’inferno splatter degli adulatori. La sozzura entra nei loro occhi, nel naso, nelle bocche. Il volto meraviglioso di Taide, la puttana d’Atene è ricoperto di merda. Dante si sbizzarrisce a inventare punizioni atroci e fantastiche per i dannati, neanche fosse Tarantino. O George Lucas. Nella terza bolgia stanno i papi simoniaci, che hanno venduto l’anima per denaro. A loro Dante riserva una delle pene più fantasiose. Stanno conficcati a testa in giù, dentro grosse buche di pietra, hanno i piedi e le gambe bruciati da fiamme inestinguibili. Tortura dolorosissima, grottesca, pronta per l’uso di un grande fumetto. Nella quarta le teste torte al contrario, nella quinta la pece melmosa ribolle, è l’inferno dei corrotti, quando tentano di riemergere vengono infilzati dai ramponi dei demoni e fatti a brandelli. La scena è terrificante, splatter e stracult, perché Dante la gira mescolando in sinestesia diverse esperienze sensoriali. Il buio della bolgia illuminata dalle fiamme, le grida dei demoni e i lamenti dei dannati, il calore della pozza bollente, l’odore della pece. E qui Dante strafa anche di sceneggiatura. Coi nomi dei diavoli. Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto dalle grandi zanne, Graffiacane, Farfarello, Rubicante e Barbariccia, il capo della comitiva.

Poi Dante si scatena. Come in Goldfinger ecco gli ipocriti con un mantello che li incapuccia di piombo ricoperto d’oro. Ecco i ladri torturati e morsi dai serpenti con mutazioni orrende e continue come in Alien, con l’uomo trasformato in serpente e il serpente tramutato in uomo. Perché anche l’uomo ha un suo veleno, come il serpente, chiosa Go Nagai.

I dieci fossati di Malebolge sono il luogo nel quale Dante si diverte a mettere in scena tutti gli effetti speciali: dannati che si trasformano in serpenti; diavoli che volano; eterne fiamme infernali in cui il corpo per quanto bruci non si consuma illuminando come lucciole il buio della bolgia, corpi lacerati, c’è chi diviso in due porta in mano la propria testa come fosse una lanterna (Bertran De Born), chi è fatto a pezzi, chi imputridisce continuando a decomporsi tra muffe e vermi.

Insomma c’è tutto l’immaginario pulp e splatter contemporaneo. Il fantasy e l’horror e gli zombie.

Dopo essere emerso dall’oscurità e dalle sofferenze dell’inferno, Dante è pronto a proseguire il proprio viaggio da vivo nell’aldilà, entrando “in quel secondo regno/dove l’umano spirito si purga/ e di salir al ciel diventa degno.” Luogo di pentimento e di speranza, regno dell’espiazione e dell’avvicinamento a Dio, questo è il purgatorio. Le anime sono impegnate nel lungo percorso di purificazione e il designer statunitense Milton Glaser visualizza questa straordinaria incarnazione poetica e teologica della tensione tra il ricordo della vita terrena e il desiderio di salvezza. Sono immagini tensive, vibranti di malinconica dolcezza. Figurativizzano e cristallizzano l’atmosfera di attesa e di sospensione che attraversa la seconda cantica.

In occasione del recente Salone del Mobile la Galleria Nuages di Milano ha presentato un’esposizione dedicata a Milton Glaser, il grande graphic designer americano, fondatore dei mitici Push Pin Studios, inventore del marchio I love NY col cuore rosso conosciuto e copiato in tutto il mondo.

Milton Glaser è legato a Nuages da 30 anni, per le edizioni della galleria ha illustrato I fiori del male di Baudelaire e, appunti, Il Purgatorio di Dante Alighieri.

Maestosa conclusione del viaggio del Poeta nell’Aldilà, sfolgorante esempio di poesia in grado di esprimere l’inesprimibile, il Paradiso stupisce ancora oggi per le invenzioni linguistiche e la vertigine intellettuale in cui immerge il lettore. Nella sua ascesa attraverso i cieli dei beati, Dante diventa testimone dell’armonia perfetta che permea il Paradiso, arrivando a creare una lingua “trasumanata” per esprimere la bellezza assoluta dell’“Amor che move il sole e l’altre stelle”. Le magiche apparizioni che popolano le sfere celesti trovano qui un interprete d’eccezione in Moebius, maestro assoluto del fumetto contemporaneo, noto per le sue storie fantastiche e fantascientifiche, capace di tradurre l’estasi mistica della cantica nel susseguirsi di figure fantastiche e coreografie immaginifiche rappresentate dalle sue chine acquarellate. Moebius aveva lavorato alle scenografie di Alien, Tron, Il quinto elemento.

Di fronte al teologico, all’inconoscibile, al mistico, immobile e inafferrabile mondo celeste ha scelto di piegare la sua personalità alle regole già scritte della visione: “Gustave Dorè era la mia sola via d’accesso all’ombra portata dalla luce paradisiaca sfiorata dalla penna angelica dell’artista… ho appoggiato di nascosto la mia carta da ricalco” Le figure sono bagnate da ombre di luce sospinte da leggeri venti. Piccoli angeli si dispongono in formazioni danzanti creando figure diverse e più grandi. I colori sono diluiti e lucenti. Moebius rappresenta gli effetti speciali del paradiso in perfetta sintonia con Dante: ne visualizza la circolarità, i movimenti coreografici dei beati, ponendo l’accento sulla coralità e sulla loro fusione con Dio, attraverso la formazione di figure geometriche o immagini collettive di uccelli, croci e altre forme simboliche.

Per concludere ecco nel 2014 da Rizzoli Lizard Infierno! 2 di grande una grande coppia disneyana, e non solo, del fumetto italiano Silvia Ziche e Tito Faraci.

È un lavoro per sottrazione perché rinunciano ai baloons e alle parole per valorizzare al massimo la efficacia narrativa del fumetto come racconto per immagini. Ci raccontano le peripezie di due diavoli, che svolgono il ruolo di agenti speciali tra Terra e Inferno, ma anche tra Paradiso e Purgatorio. Infierno! 2 raccoglie il primo e ormai introvabile episodio e aggiunge una nuova storia, in cui i due diavoli sbirri e loro mascotte teratologica hanno a che fare con una provocante e sfuggevole anima femminile.

Anche il secondo episodio mantiene la premessa originaria, quella di non utilizzare balloon né didascalie di nessun tipo e lasciare parlare solo l’azione e la mimica dei personaggi. Faraci e la Ziche sono due narratori di prim’ordine che, attingendo all’esperienza di autori Disney, fondono commedia slapstick, giallo, satira politica e un pizzico di erotismo senza soluzione di continuità e soprattutto senza un attimo di respiro.

La sceneggiatura è stracolma di gag e colpi di scena ma gli autori non perdono mai di vista l’obiettivo di portare avanti le tragicomiche vicende. La Ziche ha un controllo notevole della tavola, alternando felicemente sequenze serrate a scorci terreni e ultraterreni, e impreziosendo il tutto con dettagli ed espressioni comiche dei personaggi.

Si ride molto ma a denti stretti e si finisce per parteggiare per i due (poveri) diavoli, alle prese con vittime inaspettatamente scaltre, che scoprono altarini di ogni tipo, svelando che aldilà e aldiquà hanno molto in comune.