Gli editori e la sindrome di Highlander

C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico nei riti del mondo editoriale italiano. Con un senso di spaesamento quasi onirico, nei giorni scorsi, ho camminato fra stand affollati da valanghe di libri, pantagruelico alibi d’un Paese dai bassi indici di lettura. La compagnia di giro è sempre la solita, ma il contesto è cambiato. Non più gli spazi del Lingotto che richiamano alla memoria il pregresso acronimo Fiat, ma i 35 mila mq di Rho Fiera dove –dal 19 al 23 aprile- si è svolta la prima edizione di “Tempo di libri”, la kermesse milanese che, per dirla in modo un po’ melodrammatico, ha scippato il Salone del libro di Torino come Giacobbe fece con la primogenitura di Esaù, dandogli in cambio un piatto di lenticchie, e come il sottoscritto ha tentato di fare scippando i versi di Pascoli nell’attacco di questo pezzo.

Giuseppe Arcimboldo, Bibliotecario (1566)
Giuseppe Arcimboldo, Bibliotecario (1566)

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Da Cagnaccio ai Pesce Balla

Nel XX° secolo la produzione di cataloghi e libri d’Arte raggiunse livelli inimmaginabili. Ci fu anche un gran numero di esemplari senza valore, di carattere paesano, pubblicazioni delle quali niente si sa o poco e, per fortuna, introvabili sul mercato. Si tratta di testi scritti da personaggi di infimo profilo, senza una minima istruzione, esseri che si buttavano in qualsiasi avventura pur di accaparrarsi un pasto. Tuttavia, libri privi di apparati critici, senza biobibliografie, a volte mancanti di indici dei nomi e dei numeri di pagina, compaiono nel Dizionario essenziale dell’Arte Italiana del Novecento (a cura di Aurelio Morbinoni, Edizioni del Bernino, Nizzolo, 2001). Tra le tante segnaliamo le seguenti edizioni.

Giovanni Paolo Pannini (1691 – 1765), Galleria del cardinale Silvio Valenti Gonzaga (1749)

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