La città dolente

0. Il trionfo maniacale della “soggettività” corrisponde ad una evacuazione massiva del reale; vi si sostituisce una “realtà” immaginifica intrinsecamente negazionista. Il negazionismo è la peggior forma della negazione e nel contempo l’epitome del relativismo: la più ignobile versione del collaborazionismo.

Postilla: Il negazionismo “neutralizza” il negativo favorendo “l’incistarsi nel sociale” di quel che Roberto Cheloni chiama gli “enunciati del fondamento” divenuti un sistema efficacissimo di produzione ideologica della contraddizione. (R. Cheloni, La società maniacale. Paradigmi e paralipomeni per un suo avvento, Canova, Treviso 1996).

G. Sirena, La città dolente, olio su tela, collezione privata Orvieto

  1. Collaborazionista è senza dubbio una certa ermeneutica i cui deliri narratologici salmodiano una visione serendipica della contemporaneità. Contemporaneo è il tempo ridotto alla durata del bisogno: contrazione e annullamento della storia, accesso gratuito alla luciferina noia dell’eterno godimento.
  2. Godere ininterrottamente: oblio della coscienza, dipendenza promiscua che non riconosce alcuno perché non incontra nessuno; incoscienza chiusa alla differenza, sterilità affettiva. Mutamento antropologico sul versante della perversione, il Bios più radicale della dipendenza. Cosificazione del desiderio, dissipazione del patrimonio, idolatria del mercimonio in un’oscena parodia della vita e del suo ritmo.
  3. La perversione trasforma con sottile astuzia il peccato in colpa distribuita e retribuita, amministrando con zelo anticristico il suo impero di iniquità. Credendosi emancipata dal peccato, liquidato quale errore ora biologico, ora sociale, comunque ideologico, la perversione tesse un’apologia del male codificando la fenomenologia dell’abuso; promuove, anzi obbliga ad una sessualità inesausta quanto più confusa, avvalendosi, per la sua propagazione, delle tristementi note gender….merie.
  4. Tèlos della contemporaneità è una realtà totalmente sincronizzata. Il suo impero è un maternage parassitario, fusionalità che sequestra l’individuo, ostaggio bulimico/anoressico nel cimitero della vita
  5. Nulla è più contemporaneo del vampirismo.
  6. È con lo scafismo permanente della maniacalità che si naufraga nell’Apocalisse con gaia allegrezza.
  7. Nulla è più immaginario del realismo, specie quello ecologico dove tutto è ammorbato e moribondo. E allora ecco dispiegarsi la potenza della prassi, del pensiero operativo che manipola il mondo attraverso la sua pletora di pratiche della liberazione. Giocolerie del nulla che recitano i mantra dell’immondo.
  8. Primo mantra: rimuovere la vecchiaia. Secondo mantra: glorificare l’ “omunismo”.
  9. Grandezza di Cioran: “L’Occidente è un morto che sa di buono, un cadavere profumato”. Aggiungo: l’ipocrisia non è più un disvalore, è un incenso. L’odiosità rende quell’incenso irrinunciabile.
  10. Grandezza di Lacan: il Reale è il reame dello specchio senza lo sguardo o, detto altrimenti, il
    luogo da cui siamo guardati senza essere visti.
  11. Suggerisco una riflessione che è pro-vocata da due lemmi interessanti: “sessualizzazione” della quotidianità individuale (pervertimento identitario della sessuazione) e “desessuazione” sociale (pervertimento che impedisce qualsiasi “rettifica del Reale”).
  12. Femminismo e virilismo si coniugano nel carnevale dell’indifferenza sessuale: l’uno esibendo la propria impotenza, l’altro la prepotenza.
  13. Ingegneria genetica della logica: principio del terzo incluso. Gli umani si distinguono per indifferenza generica e identità unica.

 

 

Un commento su “La città dolente”

  1. Un periodare quasi aforistico con cui l’autore sintetizza l’analisi di un’epoca. Efficace, tagliente, icastico come il quadro scelto quale immagine di copertina (che credo di capire sia di sua mano).
    Auspico non si tratti di un singolo episodio ma l’inizio, per me, del piacere per una lettura di questo particolarissimo modo di articolare il pensiero.

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