«Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?». La domanda che Totò e Peppino rivolgono al vigile milanese in un’esilarante sequenza di Totò, Peppino e la malafemmina va presa sul serio. Magari senza smettere di ridere.
Chissà quante volte se la sarà posta, perfino angosciosamente, il giornalista Henry Morton Stanley dopo il fatidico «Dr. Livingstone, I presume», la frase improntata all’etichetta imposta dalla buona educazione vittoriana, che segnò il suo incontro con l’esploratore David Livingstone sulle sponde del lago Tanganika dopo una ricerca che durava da quasi tre anni. Erano gli unici due europei nel raggio di centinaia di chilometri, e quell’“I presume” oggi risuona leggermente comico. Manifestava invece il piccolo ma eroico titanismo (caro anche a tanti personaggi di Kipling) di chi s’aggrappa al rigido formalismo dei propri codici culturali per non essere fagocitato dal caos d’un mondo che gli appare indecifrabile secondo i parametri interpretativi nei quali è stato educato.
Ecco: noi oggi ci troviamo un po’ nella situazione dei due celebri esploratori. Di certo non rischiamo la pelle, comodamente seduti davanti al display luminoso del nostro computer. Eppure forte è la sensazione di spaesamento davanti a un panorama culturale complesso e aggrovigliato come la vegetazione d’una giungla o d’una savana, pronto a inghiottirci nel suo “cuore di tenebra”. I vecchi codici sono saltati, nuovi paradigmi s’affacciano, sospinti da algoritmi implacabili. Così anche noi, come Totò e Peppino, non possiamo fare a meno di chiederci per dove dobbiamo andare, se davvero vogliamo andare dove dobbiamo andare. E anche noi, come Stanley, ci addentriamo fiduciosi a esplorare la foresta d’una terra incognita attraverso le forme (non le formule) che ci sono conosciute, consapevoli però che la vecchia ragione occidentale non fa che spostare un poco più in là la tenebra a mano a mano che la illumina.
Questo blog vuole perciò essere uno spazio condiviso di ricerca, aperto a un gruppo di amici dallo spirito libero e non dogmatico. Solo chi è disposto a perdersi può ritrovare il filo provvisorio del senso nel caos del mondo, we presume. Inutile cercare in queste pagine un sentire unanime o peggio ancora la rigidità di una linea. Qui le linee sono flessuose e s’intersecano come le liane nella giungla, in un’ibridazione feconda. Non a caso, ibrido è anche quel LIVINGSTONE che campeggia nel logo, visivamente scomposto in due parole – living e stone – che danno l’idea d’una pietra viva e pulsante, forse un gioiello magico, con un richiamo avventuroso tra La pietra di luna di Wilkie Collins e La pietra lunare di Tommaso Landolfi: Gurù, la sua ibrida ragazza-capra, potrebbe essere la nostra musa nel viaggio verso Nonsodove che stiamo intraprendendo. E il nostro viatico sta scritto sul muro d’un convento francescano di Toledo. Dice così: caminantes / no hay caminos / hay que caminar. Ossia: «Viandanti, non ci sono strade, si deve camminare».
Roberto Barbolini