Il suono che tramonta (e il tarabuso dice la sua)

A mo’ di introduzione – L’invito di THE LIVINGSTONE a scrivere degli interventi di argomento musicale mi spinge a seguire le orme del grande esploratore. Per un musicista, esplorare vuol dire chiedersi di cosa sono capaci i suoni: di raccontare? di ridere? di piangere? di camminare? di sorprendere? di ingannare? forse anche di tramontare? Per i lettori di questo blog, spero che esplorare possa significare la scoperta di musiche nuove, su cui di volta in volta farò di tutto per accendere la curiosità. Per non esser troppo solo, scelgo dei compagni di viaggio: ad accompagnarmi saranno i Peanuts, l’alfa e l’omega dell’umana saggezza.

Peanuts, compleanno di Beethoven 1994. Lucy porta la torta, Sally la paletta per tagliarla, Schroeder se ne esce con un «wow!» di ammirazione. Sulla destra, Woodstock e Snoopy confabulano. Woodstock fa una domanda, e come sempre son solo trattini verticali messi uno dopo l’altro, seguiti da un punto interrogativo. Snoopy gli risponde «Musica per uccelli? No, Beethoven non ha mai scritto musica per uccelli».
Verrebbe da smentire Snoopy (e Schulz) ricordandogli il celebre passo ornitologico nel secondo movimento della Sesta sinfonia. Ma può ben darsi che pure Schulz lo conoscesse. In effetti, una musica che mima il canto degli uccelli è perciò stesso «musica per uccelli»?
Lasciando irrisolta la questione se di queste musiche possano fruire in maniera consona anche le creature alate, di musiche che in un modo o nell’altro fanno riferimento al canto degli uccelli ce n’è parecchie, anche al di là di Beethoven. Si pensi, fermandoci alla sola letteratura per tastiera, a François Couperin (1668–1773), che con tono brillante ritrae Le rossignol en amour [L’usignolo in amore], La linotte effarouchée [Il fringuello impaurito], Les fauvettes plaintives [I passeri lamentosi] e Le rossignol vainqueur [L’usignolo vincitore]; brevi pagine da leggere anche come giochi di società, dediche e divertissements. Si pensi poi a Vogel als Prophet [L’uccello profeta] dalle Waldszenen [Scene del bosco] di Robert Schumann (1810–1856). O alle trame simboliste di Maurice Ravel (1875–1937) e dei suoi Oiseaux tristes [Uccelli tristi], estratti dal ciclo Miroirs [Specchi]: il richiamo degli uccelli, a volte irrigidito nella ripetizione di una sola nota, altre volte sciolto in un melodizzare sinuoso, ha in sé la sacralità delle cose che giungono dall’altrove.

Olivier Messiaen - Catalogue d'Oiseaux
Olivier Messiaen – Catalogue d’Oiseaux

Ma si pensi soprattutto a Olivier Messiaen (1908–1992) e a tutta la sua produzione, in cui così largo spazio ha la voce degli uccelli, incantate creature che vivono un’esistenza intermedia fra terra e cielo, mimando la perenne tensione umana verso la trascendenza. In particolare, lo sterminato ciclo del Catalogue d’oiseaux [Catalogo d’uccelli] per pianoforte. E in particolare il cuore della raccolta, il brano più ampio (mezz’ora circa di musica), il capolavoro: La rousserolle effarvatte [La cannaiola].
Come in tutti gli altri brani del Catalogo d’uccelli, vi è qui un uccello protagonista, la cannaiola: piumaggio bruno uniforme – segni particolari, loquacissimo. Ma ci sono pure tutti i suoi colleghi: merlo, averla, codirosso spazzacamino, fagiano, migliarino di palude, picchio verde, storno, cinciallegra, batticoda, forapaglie, forapaglie macchiettato, cannareccione, gabbiano, folaga, allodola, porciglione, usignolo.
In ogni brano del Catalogo d’uccelli, viene ricostruito un vero habitat naturale: qui, si tratta di uno stagno (e la «musica degli stagni» apre e chiude, circolarmente, il brano). In tutti i brani del Catalogo la musica “racconta” anche il tempo che passa e le ore della giornata: qui, un’intera giornata dalla mezzanotte alla mezzanotte (e oltre), passando attraverso notte fonda, alba, meriggio, tramonto e di nuovo notte fonda. La «solennità della notte», così la chiama Messiaen, è un terribile rintocco di gong nel registro grave del pianoforte. Il meriggio è l’interminabile (interminabile!) suono uniforme del forapaglie macchiettato, una specie di acutissimo frinire d’insetto: «la stanchezza della natura sotto il sole». Il tempo si ferma, il mezzogiorno è una scheggia di eternità.
E poi, alba e tramonto, scene madri del pezzo. Curiosa e quasi incomprensibile, questa cosa della musica che “racconta”, “descrive”. Sappiamo che i suoni sono senza significati, questo almeno nel senso in cui la parola «matita», nel ben più esplicito linguaggio verbale, significa quell’oggetto lì, con la punta, che serve per scrivere. Al di fuori di un contesto culturale, una combinazione di suoni non è una notte, non è una ninfea, non è un tramonto. Non è nemmeno semplice chiarire perché, col procedere dei suoni verso il registro acuto, si ha la sensazione che salgano, e col loro procedere verso il registro grave si ha la sensazione che scendano. Qualcosa fra suggestione culturale e psicologia cognitiva, che diamo di solito per scontata.

Sta di fatto che nella scena dell’alba della Rousserolle gli accordi che accompagnano il canto salgono salgono salgono e ancora salgono. Mentre nella scena del tramonto scendono scendono scendono e ancora scendono. L’alba sveglia gli uccelli (la protagonista già vegliava e già loquacemente si era espressa). Durante il tramonto, invece, gli uccelli tacciono. Tutti tranne uno: il tarabuso.
Il pianista non ornitologo, in procinto di eseguire il brano, fa ricerche, trova online un documentario su questo strano airone deforme e scopre il suo carattere schivo. Scopre che gli etologi, per rintracciarlo, devono esercitare l’arte della pazienza e solo a fatica, con tutto un armamentario di antenne e microfoni, riescono a catturare da lontano e soffocato il suo richiamo cupo ed elementare, quasi di colombo: «ù-ùuuuu, ù-ùuuuu». Ma per nulla lontano, né soffocato, è questo richiamo nella Rousserolle, bensì più che fortissimo, con l’indicazione «muggito». Il tarabuso è il mostro nella notte, quella che c’è e quella che si annuncia.
Mentre i suoni stanno tramontando (gli accordi scendono scendono), a un certo punto, il tarabuso eccolo che prende a muggire. I suoni sono passati da rossi e viola con riflessi arancio (Messiaen i colori dei suoni li vedeva per davvero, non si tratta di una metafora) a viola con riflessi dorati. Il tarabuso muggisce ancora. L’ascoltatore, in un capolavoro di sinestesia, vede con terribile evidenza il sole che scende, fino a toccare l’orizzonte. Gli accordi scendono ancora. Il sole scompare.
L’usignolo, brutale, interrompe il silenzio e l’ascoltatore rifiata, uscendo dal sortilegio.
Non per molto, però: accade l’imprevisto, inesplicabile. Dopo pochi secondi, eccoli lì, ritornano gli accordi del tramonto. Perché? Ci eravamo sbagliati? Il sole non era scomparso dietro l’orizzonte? Il precario sistema di significati di cui ci siamo resi complici era tutto un’illusione?
No: il sole è davvero scomparso, prova ne è che questi inesplicabili accordi ricominciano da un po’ prima, da quando il sole era un po’ più su all’orizzonte. E dunque?
La soluzione dell’enigma è in partitura. In prossimità di quel passo, Messiaen scrive: «ricordo del tramonto». Già, quasi dimenticavamo che di fronte a questa scena c’è qualcuno che la guarda, che la vive e per il quale pure trascorre il tempo. Ma con uno strumento che ha del magico, la memoria, costui può forse revocarlo, il tempo.
A questo punto non stupisce nemmeno più l’ultimo dettaglio della sorpresa: il ricordo, anziché essere un’eco sbiadita, è più forte del tramonto vero e proprio. Forte crescendo a fortissimo, scrive Messiaen, ma non sapremmo rimproverare un’interprete che lasciasse esplodere il suono del ricordo ben oltre il normale fortissimo.
È cosa specificamente umana. Le cose sono talvolta ancora più forti nel ricordo, nella loro assenza (ne attendiamo il ritorno?) rispetto a quando le abbiamo vissute.

Indicazione per l’ascolto de La Rousserolle effarvatte di Olivier Messiaen (pianista, Yvonne Loriod) e una specie di mappa (incompleta, ché altrimenti non c’è più avventura) per l’esplorazione:

0’00’’ Notte
5’05’’ Alba
9’25’’ Meriggio
19’35’’ Tramonto
23’45’’ Ricordo del tramonto
24’22’’ Notte