Gli editori e la sindrome di Highlander

C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico nei riti del mondo editoriale italiano. Con un senso di spaesamento quasi onirico, nei giorni scorsi, ho camminato fra stand affollati da valanghe di libri, pantagruelico alibi d’un Paese dai bassi indici di lettura. La compagnia di giro è sempre la solita, ma il contesto è cambiato. Non più gli spazi del Lingotto che richiamano alla memoria il pregresso acronimo Fiat, ma i 35 mila mq di Rho Fiera dove –dal 19 al 23 aprile- si è svolta la prima edizione di “Tempo di libri”, la kermesse milanese che, per dirla in modo un po’ melodrammatico, ha scippato il Salone del libro di Torino come Giacobbe fece con la primogenitura di Esaù, dandogli in cambio un piatto di lenticchie, e come il sottoscritto ha tentato di fare scippando i versi di Pascoli nell’attacco di questo pezzo.

Giuseppe Arcimboldo, Bibliotecario (1566)
Giuseppe Arcimboldo, Bibliotecario (1566)

Ma non s’illudano i grandi marchi editoriali della Madunina, Mondadori e GeMS in testa, neh? Non s’illuda l’Associazione Italiana Editori, che fin dall’acronimo AIE fa pensare a un vivace pollaio di battibecchi interni. I sabaudi mica si sono arresi, come non s’arrese Pietro Micca, che preferì saltare in aria dando fuoco alle polveri. Torino ha accettato la sfida e terrà la consueta rassegna il mese prossimo. Poi vengono a dirci che l’editoria italiana è in crisi (lo dicevano già ai tempi di Silvio Pellico)…

Sul programma curato da Chiara Valerio, niente da dire. Gli appuntamenti erano ben 720: tantissimi, anche se non tutti purissimi e levissimi, ma nel complesso di buon livello, con presenze internazionali illustri: Javier Cercas nella giornata inaugurale, poi Abraham Yehoshua, Adonis, David Grossman… E una serie di incontri “fuori salone” dislocati per tutta la città.

Quello che alla fine della fiera –modo di dire per una volta azzeccato- s’è rivelato in parte latitante è stato proprio il pubblico: decisamente scarso nelle prime due giornate, in rialzo tra venerdì e il weekend. Colpa del periodo infelice tra Pasqua e il 25 aprile, dicono con il senno di poi, ma anche della collocazione extra moenia a Rho, piuttosto scomoda da raggiungere, e dell’orario di chiusura alle 19, che se da un lato ha consentito agli esausti standisti delle case editrici di andare a letto con le galline – suscitando lo scandalo degli animalisti almeno quanto il romanzo di Walter Siti sul prete pedofilo, che è stato uno degli appuntamenti clou, scandalizzerà i chierichetti-  ha d’altro canto impedito a molti milanesi di disertare una volta tanto il rito dell’happy hour per tuffarsi in quel mare di libri in cui è pur sempre dolce naufragare.

Quello che resta da capire è il cui prodest e il cui prudest, ossia a chi giovi questo sdoppiamento fieristico e a chi invece farà venire l’orticaria. Speriamo solo che la mitologica contesa editoriale fra Milano e Torino -che in acronimo possono fare MiTo ma anche ToMi, ossia cataste di libri invenduti sotto cui seppellire ogni possibile fiera delle vanità- non inneschi la sindrome di Highlander, l’Ultimo Immortale. Ricordate la trista profezia? “Ne resterà uno solo”. Anzi: una sola.

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