Milano come Buenos Aires

Anche Milano nasconde la sua Buenos Aires. Come uno specchio, nei vicoli più stretti, dove i palazzi si protendono sul selciato con le loro mura vecchie al gusto di mattoni, sporchi di una fuliggine del secolo precedente, con antri oscuri di mistero e donne affacciate sull’uscio delle case.
Case nascoste, usci a pagamento.
Il latrato di un cane che abbaia in lontananza e il profumo di cibo speziato dalle finestre, musica ambulante per qualche spicciolo e una voglia matta di mettersi a ballare.
La Buenos Aires di Milano è più timida e forse più cattiva. I coltelli si vedono solo all’ultimo minuto, quando urlare e mordere bestemmie è diventato ormai inutile, quando gli speroni di stivali da cowboy hanno smesso di tintinnare lungo le salite che portano ai selciati delle chiese e gli uomini si incontrano e brutto grugno sotto lo sguardo di un vecchio crocifisso.
Parole di sfida al cancello di un parco, puttane nel buio.
Uomini dallo sguardo duro sui gradini, sul bordo di una fontana, le dita in bocca per fischiare alle ragazze “Hey signorina”.
Baci strappati al sapore di tabacco, mani maledette nell’ombra.
Da lontano il suono stridulo di un bimbo che piange, coperto dal passaggio di un pullman, dal gorgoglio di una fontanella sempre aperta sul pavimento. La guerra dei briganti, uno scoppio di pistola nel buio, rivoltella nel cassonetto.
Milano di giorno, Milano di notte: Argentina in scala.
Al Vecchio Mulino l’oste è sulla porta, degustazione di vini per quel mezzogiorno, sole caldo tra l’edera rampicante, brocche d’acqua sulle vecchie tovaglie a quadri, una chitarra e un dondolo, per il sonno dei più anziani, per il riposo della pancia piena.
Palloni contro la parete, urla di ragazzini, la signora Giovanna urla dalla finestra: che la smettano o il marito verrà giù a suonargliene col bastone.
Corse in bicicletta, sempre in fuga? Da cosa? Dalla scuola, da sé stessi, dal maledetto lavoro.
Odore di tram e smog, di carne e di jazz.
La notte sorprende con la sua ironia.
Basta traffico, nessun grido di bambino, niente arsura al sudore. Rimangono l’odore del tabacco, il sapore del vino, le campane della sera.
Si sente ancora qualche colpo in lontananza, ma non si è certi che sia una pistola, forse è una gomma esplosa, forse chissà…
Un nuovo profumo riempie la città, acqua di colonia, per gli uomini che vanno a ballare con le camicie non stirate e le bretelle per i pantaloni larghi, delle ragazze nei vestitini al primo appuntamento, di nascosto dai padri, delle signore che si vendono, tutte gambe tette e sorrisi, lunghi capelli neri sciolti sulle spalle. Una rosa in testa.
E la Milonguita. L’insegna che si accende con un ronzio, le porte che cigolano alla spinta.
All’interno il silenzio, riposo prima della notte.
Pista da ballo consumata, seggiolini senza schienali. Candele e fiori per le coppie di sposi, luci spente per gli amanti.
La gente entra e si siede, chiacchiera e sorride. Occhi che scrutano, cercano, assaporano.
Gambe scoperte che chiamano, giocano, danzano.
Le dita di Paulo sul pianoforte, vecchi tasti neri e bianchi. Uno è rotto. Pazienza, si salterà quella nota.
Un fiammifero acceso vicino al bancone, zac, strofinato sulla custodia, una fiammella per la candela.
E cala la notte. Inizia il tango.
Brano lento, sofferente, consunto. Suonato mille e mille volte, per gli innamorati, per gli assassini, per le belle donne.
Le prime coppie sulla pista. Posso invitarla? Mani tese, sguardi ardenti.
Donne composte a bordo pista, le mani in grembo e la testa alta. Attendono i cavalieri.
E poi la stretta, corpo contro corpo.
Le camicie a dividere la carne.
Birra nei boccali, vino sul bancone. Uomini solitari senza futuro, con le lacrime bloccate dietro gli occhi. Non escono, non per loro.
Una ragazza se ne va presto. È stufa per questa sera.
Due sconosciuti si baciano. Avranno modo di conoscersi quella notte.
Enzo ed Eva Ramirez sono all’ingresso, salutano i ballerini.
Ogni tanto fanno un tango. Unici, incredibili, la folla si ferma.
Conoscono il segreto del tango, quello che si tramanda da generazioni nella loro famiglia.
Lo ha portato Juan Ramirez quando ha aperto quel posto. Un regalo per sua figlia.
Si stringono e danzano, sottili e levigati, forti e inscindibili. Evita, occhi chiusi, bella e di fuoco.
L’abito scuro, le gambe tese.
Lo sguardo serio di Enzo, i passi distesi, l’eleganza.
E il silenzio cala intorno, perché il segreto del tango si muove in quella pista. Inaccessibile a chiunque, ma visibile a tutti.
È un’armonia che si può palpare con le dita, che si può annusare nell’aria.
E tutti riprendono a ballare, e si amano, e si odiano e sudano.
Cravatte, scollature, gonne, bretelle, cosce.
La pelle scura, le mani unite.
Uomini e donne che ballano. In mezzo a tutti loro, quella notte: il tango.
È sensibile, gentile, indossa un cappello. E sorride.
Si farà mattina.
Poi le porte chiuderanno e l’insegna smetterà di ronzare.
È presto. La notte è ancora molto lunga.
Notte di pelle e mani.
Notte di Milonguita.

Tango

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