Pensieri a colpi di frusta

Torna, Pirandello: tutto è perdonato! Con i suoi giochi dell’essere e dell’apparire, le identità multiple, l’inconsistenza della realtà e la realtà della finzione, Luigi Pirandello parrebbe davvero l’autore ideale nell’era di Facebook e di Twitter, un guru capace di traghettare le sue (e nostre) inquietudini esistenziali dal cuore del canone novecentesco al cuore di silicio della Grande Rete che oggi consente a tutti di essere “uno, nessuno e centomila”.

Copertina di 'Satire per il nuovo millennio gastronomico'
Copertina di ‘Satire per il nuovo millennio gastronomico’

Nel caos identitario dell’era elettronica l’inquieto gioco di maschere tra autore e personaggio è oggi più che mai in grado di produrre esiti fruttuosi. Già Raymond Queneau, col suo Icaro involato, ci aveva abituato a un personaggio che scappa dal romanzo e va in giro per conto suo; ma adesso succede qualcosa di diverso: il personaggio rivendica l’autonomia dal suo creatore per diventare autore a sua volta.

«Qui giace nel sacello/racchiuso in un fornello/il grande chef Bottura/ sotto un prato di verdura/ (…) Belzebù ha impanato/ la sua anima “divina”-/Sì signori, ha gran peccato/ha stravolto la cucina»… Prendete questi versi volutamente in stile Corriere dei piccoli:  la cosa davvero curiosa è che a dettare il Poemetto per far rinsavire lo chef Massimo Bottura dopo la sua salita nell’Olimpo dei cuochi sia stato quel bello spirito di Pietro Gramigna. Il nome non vi dice niente? Male, malissimo. Significa che non avete letto Il tramonto sulla pianura, il romanzo di Guido Conti edito una dozzina d’anni fa da Guanda, dove il salace Pietro Gramigna detto Frusta figurava come uno dei personaggi principali. Confessiamolo: in epoca d’imperialismo gastroestetico, con i cuochi, pardon, gli chef eletti ad autentici guru nelle più svariate branche del sapere (branchie se specializzati in pesce), versi come questi danno un indubbio piacere liberatorio: «E mangiare dal gran cuoco/ fa fighetto in società/ se cucina anche in loco/ fa più grande la città». E giù ancora frustate: ««Io sarò tutto festante,/ e contento è Belzebul /se il tuo nuovo ristorante/tu lo apri a Istanbul».

Non è la prima volta che Frusta usa Conti come medium, dettandogli dall’aldilà versi corrosivi come quelli che ho citato. Essi fanno parte delle Satire per il nuovo millennio gastronomico pubblicate in tiratura limitata da Libreria Ticinum editore, dove gli strali di Pietro Gramigna detto Frusta, così si firma per esteso l’autore, non risparmiano altri celebri cuochi come Gianfranco Vissani e Alain Ducasse, per poi dilatarsi dalla gastronomia alla politica, alla letteratura (gustoso l’ epitaffio dedicato a Baricco) e all’universo mondo, come si conviene a un poeta satirico della schiatta verace di Giovenale e Marziale.

Con la differenza che Giovenale e Marziale sono esistiti davvero, mentre Pietro Gramigna se l’è inventato quell’irresponsabile di Guido Conti. D’accordo. Ma prima d’impiccarlo in effigie bollandolo come falsario e malfattore, pensate a quella gattamorta di Giulietta, l’immortale eroina scespiriana, che dalla sua Verona continua a rispondere ogni giorno agli innamorati di tutto il mondo grazie a un pool composto da una cinquantina di segretarie delle più svariate nazionalità. E che cosa dovremmo dire di Michael Chabon, premio Pulitzer 2001 con Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, se non che è un vampiro pronto a dissanguare le sue stesse creature? Chabon ha infatti sceneggiato e pubblicato a proprio nome i fumetti dell’Escapista, una sorta di Houdini ideato dai protagonisti del suo romanzo, che a questo punto sarebbero autorizzati a chiedergli i diritti d’autore.

Non si tratta d’un semplice rovesciamento di ruoli. Chabon, Giulietta e Frusta sono sintomi seppure assai diversi d’una stessa sindrome epocale: il trionfo dell’Ibrido, effetto di una “realtà aumentata” sempre meno distinguibile dai suoi simulacri. Nel gran bailamme delle identità mentite o contraffatte è perciò ancor più importante non dimenticare il profetico ammonimento di Karl Kraus: «Non c’è dubbio che i Beethoven vengano diminuiti se dei caffettieri viene detto che sono creatori». Per tacere dei cuochi.

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