Annamaria Spina ci propone il primo saggio italiano sull’opera di una delle più grandi psicanaliste dell’infanzia del ‘900 con la sua Introduzione all’opera di Françoise Dolto.
È interessante notare che una figura come quella della Dolto, paragonabile a quella di Donald W. Winnicott, non abbia avuto il riconoscimento dovuto, nonostante la grande popolarità.
Anzi, forse proprio un certo snobismo intellettuale dell’entourage psicanalitico lacaniano ha indotto a considerare i numerosi interventi sul campo della Dolto come un abbassamento di livello della teoresi psicanalitica, come se parlare in modo comprensibile a una vasta platea popolare, utilizzando il linguaggio comune anziché il gergo psicanalitico più complesso, valesse come divulgazione. Ma ci ricordiamo della famosa citazione latina “odi profanum vulgus et arceo”?
Eppure l’opera teorica più importante di Françoise Dolto, L’immagine inconscia del corpo, mostra tutta l’articolazione e la complessità del suo pensiero che spesso si fatica a metabolizzare se si parte da presupposti teorici precostituiti su cosa sia la psicanalisi. La stretta relazione della Dolto con Lacan e l’estrema stima che lo stesso le accreditava, ammirandone sia l’indipendenza di pensiero sia la straordinaria capacità clinica, non sembrano aver trovato riscontro in molti psicanalisti “eredi” del dettato lacaniano.
È curioso che Annamaria Spina abbia ripreso l’unico articolo comparso sul Corriere della Sera del 26 gennaio 1999, scritto da Ulderico Munzi, dal titolo Ma dove sono gli eredi di Françoise Dolto?
Scrive Munzi:
…Il convegno si è concluso con un appello spirituale: “Dobbiamo reinventare Françoise Dolto”. I nostri giorni bui e violenti hanno bisogno di un “ritorno” della magica psicanalista dell’infanzia, morta nell’agosto del 1988. Finalmente un atto dovuto, a cui si aggiungono tanti interrogativi e tanta angoscia sull’insegnamento di questa donna ribelle, cristiana e anticonformista. Era già stata “beatificata” come la santa laica dell’infanzia: amare è ascoltare, questa era la sua verità. Ascoltare anche il feto che la madre nutre di se stessa. L’uomo è parola, il linguaggio è richiesta d’amore. E poi quel comandamento: i genitori non sono proprietari dei loro bambini.
S’è parlato di Françoise Dolto per quattro giorni, all’Unesco. S’è parlato del suo “movimento”, di questa Association archives et documentation Dolto che è tutta un susseguirsi di fremiti e aspirazioni. Che fare?…
L’autrice replica, molti anni dopo allo scrittore e giornalista ottuagenario, con questa bella lettera che sembra volergli dire che di eredi della Dolto ce ne sono! Ne riporto alcuni stralci:
Egregio Ulderico Munzi,
le scrivo dopo aver letto un suo articolo pubblicato sul «Corriere della Sera» nel lontano 1999. All’epoca avevo solo 15 anni, ero in seconda liceo. Eppure non avevo scelto un liceo qualunque, ma l’indirizzo “socio psico-pedagogico”. Che parolone. M’interessava solo perché avevo letto qualcosa di Freud e mi aveva colpito. Qualche anno più tardi, continuando il mio percorso di studi e scegliendo di formarmi alla psicoanalisi, incontro Françoise Dolto grazie al mio maestro Antonio Maiolino, che mi suggerisce la lettura de «Il Caso Dominique» mentre seguo terapeuticamente un ragazzino psicotico. È stato un incontro folgorante che, a oggi, mi ha consentito di coordinare un dipartimento clinico dedicato alla memoria della psicoanalista francese e inaugurato nel 2015 a Napoli da sua figlia, Catherine Dolto. Il lavoro del Dipartimento, a nome mio e di tutta l’équipe, auspica di poter dare una risposta a quella sua domanda: “dove sono gli eredi di Françoise Dolto?” e tenta di farlo attraverso l’unico modo possibile, il solo la cui oggettività è determinata dalla particolarità e dall’unicità del soggettivo che la rende tale: parlo della clinica. … Dolto insegna che il piccolo d’uomo va accolto insieme ai genitori perché questi sono “i primi a sapere, e hanno soltanto bisogno di una conferma autorevole alla loro intuizione”. Non a caso … parla della nascita di un bambino come incarnazione di tre desideri, quello del padre, quello della madre e quello del bambino stesso di farsi venire al mondo. L’insegnamento teorico-clinico di Dolto è un vero e proprio modello di orientamento nella pratica psicoanalitica ma, per ragioni politiche che oscurano la verità clinica … questo viene banalizzato o addirittura obliato fino a farne dello psico-pedagogismo. Ma Dolto sapeva molto bene tutto questo, ecco perché è stata una madre che si è “fatta lasciare” dai suoi figli: è la stessa Catherine che, in occasione della presentazione del modello di Françoise Dolto in una giornata di studio a Napoli lo scorso dicembre, mi presta queste parole. Parole che ha usato come figlia ma che possiamo ben intendere anche rivolte ai suoi eredi e allievi.
…. Dolto ricorda che se abbiamo un’eredità, non è tanto perché ce l’hanno data, quanto perché abbiamo la libertà di prenderla o lasciarla … Quell’eredità io l’ho presa solo attraverso la verità della clinica e se Dolto, come lei stessa dice, viene esclusa dalla Società Internazionale di Psicoanalisi perché il suo dire suscitava negli altri reazioni difensive pari a quelle dell’adulto di fronte al bambino destabilizzatore dall’ordine ammesso, noi del Dipartimento non vogliamo farle un torto a definirci suoi “allievi” … Il Dipartimento e la prima introduzione italiana all’opera di Dolto [rappresenta] …una realtà teorico-clinica attiva per la diffusione del suo modello. E la dimostranza clinica, come già ci diceva Freud, non ammette guerre di religione. Del resto proprio Dolto insegna che “la fede non è questione di dogma ma di fiducia nell’essere umano e nel suo desiderio.
Si parla di eredità e di un riconoscimento di familiarità al “Dipartimento a Françoise Dolto” di Napoli, dato dalla figlia ed erede di Françoise, Cathérine Dolto.
A ciò faranno seguito altre attività del Dipartimento nelle sedi di Milano, Roma, Firenze e Parigi, con il benestare di Cathérine Dolto e di alcune allieve dirette come Denise Sauget. Ci auguriamo che questo intenso lavoro di ricerca e di interazione favorisca uno sviluppo del pensiero fra le giovani generazioni di psicanalisti.
Si prevede una presentazione del testo nelle città sedi del Dipartimento.