Lettere d’amore

Donna che scrive una lettera (Vermeer)

per M e M
sempre all’altezza del cuore

 

Inchiodato alla responsabilità di una risposta che non sapeva dare, M si guardava attorno, distratto. Il mento sulle ginocchia, la schiena incurvata. La posizione – scomoda, in verità – favoriva il ricordo di M.

Dove si erano conosciuti?

M rammentava soltanto che si erano amati a prima vista. Anni addietro. Un ammirevole colpo di fulmine – l’uno il riflesso dell’altra. Poi, nel precipitare degli eventi – sempre precipitosi – si lasciarono.

Adesso M guardava fisso davanti a sé. Con fatica. Pensava a M.

Quando si erano rincontrati?

Il punto era intermedio e gravido di compromessi. M e M ancora una volta – come in uno specchio. Ma proprio quella volta, M venne a sapere che M amava P. Non che amasse P e non M. Ma anche P, come si dice, in modo leggermente diverso.

L’amore di M per P trasforma P, per M, in P’, P’’, perfino P° – barrato e impossibile.

La fuga di questo spostamento restituiva a M soltanto un bieco riflesso di se stesso – pallido e smorto.

Che fare?

L’unica cosa certa era un controsenso. P doveva sparire. Necessariamente. Ma, era chiaro, per amare M, avrebbe dovuto amare anche P – senza compromessi.

Così credeva.

Una mosca volava attorno alla sua testa. M distolse lo sguardo e formulò un pensiero di speranza.

Non avrebbe sofferto a causa dell’amore per P. Ma questo sarebbe stato possibile se, per M, P non fosse, sempre e comunque, P’, P’’, perfino P° – barrato e impossibile.

All’improvviso, ma non senza qualche indizio, M pianta tutti in asso. Se ne va, con una sola valigia – stipata del suo rammarico.

M, inebetito, non riesce a convincersi che M non ci sia più. Ritiene, non senza ragione, che M sia là, dove la può trovare – invero due volte perduta.

Ma M è lontana da M, da P, a dimostrazione del fatto che P, per M, è P e basta. Senza rimpianti

Logica vorrebbe che M accettasse questa sparizione, abbandonando una posizione insostenibile.

Ma chi glielo fa fare? Quale tornaconto ne avrebbe?

Se per M, come per M, P fosse P e basta, tutto sarebbe semplice. Potrebbe affrontarlo in campo aperto – spada, pistola o, perché no, fioretto.

Ma M se ne farebbe comunque beffe, sberleffi. Perché, senza M, niente duello.

Non c’è due senza tre…

Non è vero?

E poi, se non ci fosse M, che ne sarebbe di P, l’ineffabile P° – barrato e impossibile?

La storia è lineare, o almeno così sembra. Ma non può aver fine. Nell’intrigo dell’amore, i tre sono indispensabili l’uno agli altri. Altrimenti nessuno goderebbe.

Se c’è una conclusione, una consolazione, può aver luogo in un altro luogo dello stesso luogo. Calcolandone diversamente gli esiti.

M, protagonista inconsapevole di questa storia beffarda, ha bisogno di P per risolvere le proprie – inevitabili – incertezze riguardo a M – ideale e fuggitiva.

P, l’ineffabile, se rispondesse a questa necessità di M, dovrebbe disegnare la mappa degli spostamenti che l’amore fa compiere a M. Impossibile. Perché da M, M si attende sempre qualcosa che – non può fare a meno di pensare – P gli sottrae.

La soluzione è qui. In quest’imbroglio che consente a tutti di godere. Senza saperlo. In silenzio.

Se M si aspetta da M quello che non può ricevere, riceve da P – P’, P’’, P° – quello che non sapeva di volere. La risposta che cercava.

Stando così le cose, M diviene soggetto di questa storia, di quest’intreccio.

Che davvero lo rappresenti, non è che la ripetizione di uno stesso racconto.

A riprova del fatto che nessun P potrà mai rispondere a M, se M desidera sapere quello che vuole, quello che è…

Adieu.

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