Ritrovare Europa

L’Europa è legata al Mediterraneo, io credo, nel senso che l’Europa è un luogo del Mediterraneo. Ma il Mediterraneo è un luogo dai confini incerti. Chi lo vuole stretto fra i Dardenelli e le Colonne d’Ercole vive nell’economia organicistica del potere, senza avvertire l’estensione dell’apparato psichico. L’organicismo risponde così alla logica religiosa del discorso, che ha spartito e diviso l’Europa lungo tre punti cardinali: la Croce, il Muro (del pianto) e la Ka‘ba (la pietra nera). Manca il quarto punto, il più importante, relativo al linguaggio e dunque insituabile, incollocabile in una qualsiasi spazializzazione o riduzione del Mediterraneo a una ideologia, a un rituale o a una nazione che sono i tre punti ordinali della religione. La distanza fra la mitologia e la religione è molto breve, ma la loro distanza imposta dalla visione religiosa del mondo invece è infinitamente grande: favola l’una, Verità l’altra, senz’accorgersi della verità della favola.

Carta Geografica del Mar Mediterraneo
Carta Geografica del Mar Mediterraneo

Nell’ordine del linguaggio, quell’ordine che la psicanalisi indica in una topologia attraverso cui è possibile tracciare una geografia delle regioni dello psichico, il Mediterraneo si estende, a Oriente, almeno fino a Bagdad. E ci fu un tempo in cui, nella sua estensione sembrava non avere confini.
Nello psichico ritroviamo il tempo in cui nacque un’altra Europa che non era quella cristiana del Sacro Romano Impero e dei suoi confini tracciati dalla Croce: l’Europa delle lingue. Lo si può cogliere immediatamente, una volta che proviamo a tracciare, sia pur velocemente, la geografia del Mediterraneo a partire dalla nascita delle sue lingue attuali. È l’Europa che nasce da una esperienza che ha la sua origine nella Spagna araba. Ed è un’esperienza che si propaga in tutto il Mediterraneo.
Alfonso X di Castiglia, il Savio, nel XIII secolo costituì dei collegi di traduttori dall’arabo, dall’ebraico e dal greco. Vennero tradotte in latino centinaia di opere filosofiche, matematiche, naturalistiche, astronomiche, anatomiche, mediche, alchemiche e tutto quanto concerneva la conoscenza da Platone e Aristotele fino a quel tempo. Quelle traduzioni si diffusero in tutta l’Europa dall’università di Parigi a quella di Colonia, da quella di Oxford a quella di Bologna. E in Spagna si moltiplicarono i «collegi» dei traduttori, da Toledo a Siviglia a Barcellona. Ma già allora non era un’esperienza nuova.
Un secolo prima, in Sicilia, vi fu la più grande fioritura dell’arte e della cultura sotto il regno dell’imperatore Federico II. Poeti e sapienti arabi, ebrei, greci e latini composero, scrissero e tradussero. La grande esperienza della poesia in Sicilia diede la prima forma della lingua italiana. E con la poesia si rinnovò anche il diritto, la matematica e la filosofia. Ma anche qui l’esperienza non è nuova perché Federico II sposò Costanza d’Aragona che dalla Spagna portò l’uso della sua corte, la sua intelligenza e la sua gaiezza e anche i poeti provenzali. Così, sempre a ritroso, troviamo la Scuola medica di Salerno che qualcuno vuole fondata già nel IX secolo e che una leggenda racconta essere stata istituita da quattro medici: l’arabo Adela, l’ebreo Helinus, il greco Pontus e il latino Salernus; anche presso la scuola salernitana la grande attività fu la traduzione da una lingua all’altra delle opere mediche contemporanee e dell’antichità. Queste traduzione raggiunsero Montpellier e Parigi dove si fondarono le importanti e celebri scuole mediche di Francia. Ma prima ancora troviamo l’importante centro di traduzioni del califfato di Cordova dove lavoravano a tempo pieno 200 traduttori. E durante l’espansione araba a Nord della Spagna, per quel poco che ci restarono, nell’VIII secolo, nascono e si sviluppano i poeti provenzali sotto l’influsso di quelli arabi di Andalusia, quegli stessi provenzali (i trobadores) che Costanza d’Aragona portò poi in Sicilia.
Tutto questo movimento intellettuale durò alcuni secoli fra l’VIII e il XIII, fino a quando la chiesa cattolica soffocò tutto sotto il suo potere, nel bagno di sangue della Provenza e nel soffocamento del movimento di Francesco in Umbria il quale, se non fu cruento, non fu meno drammatico per la storia della cultura e della spiritualità europee. Quel vivere secundum formam sancti evangelii operato dal movimento di Francesco riproponeva altrimenti i valori della spiritualità catara. Ma da allora non fu più possibile nessuna spiritualità al di fuori dell’ortodossia ecclesiastica, e la ragione di stato, ovvero la ragione della forza, fu la sola ragione ammessa come tale nella relazione fra gli uomini: secundum formam ecclesia.
È una veloce incursione nella storia, me ne rendo conto. Ma qui serve solo a sottolineare quel quarto punto d’orientamento che abbiamo detto essere insituabile perché esiste nel linguaggio e che orienta il Mediterraneo nella lingua. Il Mediterraneo non è cristiano. E l’Europa non è la cristianità, come hanno voluto, e ancora si vuole. O almeno, sono cristiani quel Mediterraneo e quell’Europa che si sono chiusi in difesa dietro le resistenze del potere. È l’Europa germanica e romana del Sacro Romano Impero. Ma nella lingua l’Europa e il Mediterraneo sono greco, ebraico, arabo e latino. È l’Europa nata in Andalusia, nella Spagna araba, e in Sicilia.
La nostra Europa nata dalla traduzione.
La traduzione ha comportato la fine dell’uso della lingua latina. Quei traduttori che traducevano l’arabo, il greco, l’ebraico e il latino hanno di fatto creato le prime lingue che costituiranno l’Europa, il castigliano e il catalano, il provenzale e il siciliano. Perché il latino, diventato troppo rigido, non era più in grado di soddisfare le esigenze di rappresentazione del linguaggio e cioè quella nuova organizzazione dell’immaginario che veniva formandosi, soprattutto a opera della poesia e della matematica, nell’incontro delle lingue e dei linguaggi. Così come la “latinità” nasceva dalla traduzione in latino dell’Iliade, l’Europa nasceva dalle traduzioni di quattro lingue e di quattro alfabeti differenti. Le nuove lingue aprivano un’altra via della sessualità: la «nuova fissazione» di una trascrizione, che si apriva sulla rappresentazione angelica della donna, di matrice araba e musulmana che i trovatori cristiani di Provenza prima e i siciliani poi cantarono nella loro poesia, avviava la dissoluzione del Sacro Romano Impero e del potere totalitario della religione sulle coscienze.
Con pari impegno, e con la stessa giocosità, occorrerebbe oggi, e forse ancora più d’allora, tanto coraggio e tanta intelligenza. Occorre di nuovo rompere con la supremazia dei discorsi religiosi e restituire all’Europa la sua vitalità che è data dal Mediterraneo e dall’incontro delle lingue e degli alfabeti. E questo oggi è possibile solo pensando a un’estensione dell’Europa stessa, in grado di accogliere i popoli e di rimarginare la frattura fra Europa e Asia. E dunque riconoscere che la Turchia, ma anche il Libano, Israele e la Palestina sono parte dell’Europa. Lo sono perché rappresentano uno sviluppo dell’Europa per gl’intrecci che a vario titolo hanno legato questi luoghi del Mediterraneo fra di loro nel corso di questi nostri tremila anni di storia. Ritrovare così il grande disegno dei nostri padri antichi, da Omero e Virgilio, da Federico II a Dante Alighieri e infine ai rinascimentali. Restituire vita, poesia e sorriso a quest’Europa, aggredita dalla follia e dalla stupidità delle religioni, intristita e affaticata dal peso dei paramenti ecclesiastici, colpita a morte dall’ignoranza, dall’avidità e dalla superbia.

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